" Come posso non essere più Vittima ? ".
E' questa, generalmente, la richiesta diretta o indiretta che viene rivolta al Counselor da parte del Cliente. L'aiuto è domandato per contrastare, all'interno di una specifica relazione, un interlocutore ( o più interlocutori ) sperimentato come Persecutore
L'istanza, dunque, è ricevere sostegno per emergere da un ruolo percepito senza però essere consapevoli di come tale vissuto si traduca in comportamenti effettivi.
In simili circostanze il compito del Counselor, come più volte sostenuto nella 1° e 2° parte, risulta alquanto delicato dal momento che l'evidenziare la distanza tra percezione ed agire concreto può condurre il Cliente a radicalizzarsi ulteriormente nel ruolo di Vittima.
Il primo passo di un intervento di counseling, protettivo sia per il Cliente che per il professionista, è definire i fattori rispetto ai quali il primo si percepisce Vittima.
Tale obiettivo può essere raggiunto mediante interrogazioni che orientino l'attenzione del Cliente verso quello che accade all'esterno piuttosto ( o non solo ) che all'interno e ciò anche per evitare di sfociare in un tipo di relazione d'aiuto che non è nell'ambito delle competenze del Counselor.
E' opportuno, insomma, definire il comportamento specifico sperimentato come persecutorio.
A tale scopo proponiamo una tipologia di domande non riduttive rispetto ai vissuti del Cliente e nello stesso tempo che fanno da contrasto a generalizzazioni e/o a semplificazioni:
1) " Cosa fa di specifico X ( ossia il Persecutore ) che ti impedisce di dire la tua/ di chiedere ( sostegno/ affetto ecc. ) / di realizzare i tuoi obiettivi / di non aderire ai suoi obiettivi ? ";
2) " In che modo, specificatamente, X ti impedisce di dire la tua ecc. ? ";
3) " Che cosa accade di specifico, tra te ed X , che ti fa ritenere inutile o impossibile dire la tua ecc. ? ".
Il Counselor, una volta definito il singolo atteggiamento altrui vissuto dal Cliente come persecutorio, può seguire due strade, che non si escludono ma anzi possono una seguire l'altra, e cioè
a) favorire nel Cliente la consapevolezza di un suo eventuale contributo all'agire persecutorio dell'interlocutore e
b) sollecitare una riflessione sui possibili esiti di una comportamento al di fuori dello schema Persecutore – Vittima.
L'opzione a) può essere perseguita, ad esempio, attraverso una riflessione sul linguaggio non verbale e sulla fraseologia utilizzati dal Cliente nella fase conflittuale della relazione.
L'opzione b) richiede, a volte, un lavoro di fantasia dal momento che generalmente il Cliente ritiene che essere Vittima sia la sola possibilità relazionale a sua disposizione.
Nel caso a), domande utili allo scopo possono risultare:
4) " In che modo, specificatamente, reagisci ad X quando X assume un atteggiamento che vivi come persecutorio? " ovvero
5) " Cosa dici e come lo dici, in particolar modo, ad X quando lo vivi come un Persecutore ? ".
Oppure:
6) " Quale ritieni che sia, in modo specifico, quel tuo particolare atteggiamento verbale e non verbale a cui X reagisce, secondo te, da Persecutore? ".
La seconda opzione invece può essere realizzata mediante interrogazioni del genere:
7) " Che cosa di specifico, dal tuo punto di vista, potrebbe accadere se tu, quando X dice e fa questo, agissi in altro modo rispetto al passato ( esempio se dicessi la tua invece di accondiscendere/ se rifiutassi invece di aderire / se chiedessi invece di rinunciare ecc. ) ? ".
L'obiettivo di tale procedura, come già sottolineato, è favorire nel Cliente la consapevolezza di come ed in che misura il percepirsi Vittima, o anche Salvatore oppure Persecutore, rappresenti un vissuto interiore fatto di specifiche emozioni e di particolari pensieri/ convinzioni che certamente sono da accogliere e valutare ma che non esauriscono le sue risorse emotive, cognitive e comportamentali. Che Vittima. Salvatore e Persecutore sono categorie concettuali contenenti una visione della realtà relazionale non falsa ma probabilmente parziale, che non considera cioè la complessità degli scambi che effettivamente caratterizzano quel rapporto così come ogni rapporto tra persone.
Volendo riassumere i punti a nostro avviso salienti dell'intero articolo ribadiamo che:
il Triangolo Drammatico esprime un gioco tra ruoli percepiti e non effettivi;
una lettura di tale dinamica come concreta combinazione tra ruoli sociali può condurre alla sua radicalizzazione ;
nello stesso tempo, l'alternativa al Triangolo Drammatico può essere favorita solo a partire da esso e non dalla sua negazione ;
nell'intervento di Counseling l'adesione ai ruoli percepiti dal Cliente, o la loro svalutazione, rischiano di condurre il Counselor in quel medesimo circolo vizioso ( " drammatico " ) a cui, invece, deve sottrarre il Cliente;
favorire l'uscita del Cliente dalla dinamica Vittima – Salvatore – Persecutore, perciò, implica che il Counselor si muova contemporaneamente su due fronti : uno, quello dei vissuti relativi al ruolo percepito dal Cliente ( sempre focalizzandosi sul presente più che sulle origini storiche di tali complessi intrapsichici ) e, l'altro, quello relativo alle opzioni, dunque proiettandosi, con il Cliente, verso un futuro che non neghi necessariamente il passato ma che non ne sia per forza una riproduzione.
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