Mi è semblato di vedele un counselor. Riformulare figura e sfondo e uscire dall'ordinario

Inviato da Nuccio Salis

gatto silvestroSe un uccellino in gabbia impara ad uscire soltanto spingendo la finestrella, acquisirà un abitudine che può essere rappresentata dalla sequenza elementare “Desiderio di uscire dalla gabbia – Spinta della finestrella – Uscita”. Ciascuno di questi step si consoliderà in uno schema ordinario che diventa il comportamento rituale attraverso cui l’uccellino, partendo da una motivazione o dalla forza di una routine continuamente ripetuta, preme sulla finestrella guadagnando l’uscita. Cosa può accadere se, apportando una modifica alla gabbia, cioè ad esempio aumentando leggermente la distanza fra due sbarre che la compongono e fissando lo sportellino di modo che l’uccellino non riesca più ad uscire?

Viene generalmente osservato che, appena l’uccellino sentirà il bisogno di stare un po’ all’esterno, e quindi spingerà lo sportellino per volare via, compirà l’esperienza della violazione delle proprie aspettative e delle proprie abitudini. Quello che si registra è di solito l’attivazione meccanica e sistematica di un comportamento ripetuto, inconcludente, faticoso e che amplifica la frustrazione già presente in virtù dell’inattesa e sconosciuta esperienza dell’imprevisto. In pratica, l’uccellino prova e riprova in continuazione a riaprire la gabbietta senza successo. In preda a questa condotta stereotipa, che prende il nome di meccanismo fissatorio, l’uccellino replicherà in forza dell’abitudine un comportamento fallace, che rivela l’incapacità di ricercare nuove soluzioni. È molto probabile che se lo guardassimo potremmo rimanere stupefatti da cotanta insistenza nel riprodurre sistematicamente un comportamento che non migliora giammai modifica la situazione presente. E già, ma gli uccellini sono fatti così. Un essere umano si renderebbe conto che ci sono due sbarre un po’ allargate sistemate in modo da formare la nuova uscita per spiccare il volo. O no?

Nella relazione di aiuto si fa spesso esperienza di come una persona, vincolata e gessificata dalle stereotipie del pensiero, irreggimentata da abitudini e schemi di lettura della realtà limitati e limitanti, non riesca ad intravvedere opzioni solutorie e programmare di conseguenza piani di azione efficaci.

Di frequente, il problema non risiede tanto nell’incapacità di intravvedere la soluzione, quanto nel non saper cogliere con precisione ed accuratezza la disposizione degli elementi quadro all’interno di una griglia di fattori facenti parte della situazione problemica. A un livello pragmatico, avremo bisogno di attivare un processo di analisi e sintesi che ci proietti verso una eventuale ricombinazione degli elementi presenti nel “kit” di una situazione tipo. Analogamente, se l’allestimento scenico della situazione da risolvere riguarda un piano maggiormente concettuale ed esistenziale, ciò di cui si avrò bisogno è di un atteggiamento aperto, non dogmatico, che non rifugge la paura di affrontare l’eventualità dell’imprevisto, che non viene destabilizzato da una rottura delle aspettative e che non evita di cogliere possibili nuove opzioni solutorie presenti all’interno del campo concettuale del cliente o richiedente aiuto. Ciò che occorre mobilitare, dunque, è un atteggiamento di ricerca che trovi la forza di sperimentare nuove ipotesi di realtà, accettandone il rischio e vivendolo come la straordinaria avventura del cambiare, ovvero imparare ed evolvere.

Nella relazione di aiuto, com’è diffusamente noto, il portatore della domanda di aiuto delinea l’entità della questione problemica secondo gli “occhiali” del proprio vissuto, sgravandosi della responsabilità di effettuare il tentativo di decentrarsi e ridefinire così, secondo una seconda o nuova rilettura, una inedita prospettiva concettuale in merito all’intera situazione. Spetta all’operatore dell’aiuto assumere una funzione di rispecchiamento e rimando, dentro la quale vi è inclusa anche la possibilità di sollecitare nel cliente una rivalutazione in termini sia quantitativi che qualitativi in riguardo alla misura delle variabili costituenti il problema. L’esperienza compiuta nella relazione di aiuto ci suggerisce che può essere sufficiente un nuovo processo di attribuzione di significato agli eventi singoli ed al loro legame, per ristrutturare concettualmente un problema e ridimensionarne il senso. Ciò che prima era sottovalutato e considerato marginale e minimale, viene caricato di una nuova significatività, e ciò che era sovrastimato viene altrettanto restituito a un valore più aderente a un principio di realtà. Il periferico viene messo maggiormente in evidenza e ciò che costituiva il nucleo centrale viene riletto alla luce di un nuovo legame con la complessità sistemica della situazione. La strategia che accompagna il cliente ad assumere una prospettiva rivoluzionaria che modifichi la considerazione degli elementi in gioco, si chiama riformulazione figura-sfondo. Essa ci mostra come spesso il problema non ha di per se una struttura che lo fonda indiscutibilmente come situazione ostica ed insormontabile; piuttosto esso si profila con le forme e i contorni che il cliente gli ascrive. Rendersi conto di questo significa fare i conti con la propria soggettività, abbandonare le proprie certezze, appassionarsi al nuovo, alla prova, al dubbio. Non è facile svestire gli abiti che siamo abituati ad indossare, tuttavia, se vogliamo uscire anche noi dalla nostra gabbia e prendere un po’ in giro l’uccellino che invece insiste nel suo inconcludente e stereotipo comportamento, almeno un po’ di coerenza la dovremo avere, vi sembra?

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