Mi occupo di handicap, o se si preferisce di diversabilità. L’atteggiamento più diffuso nei confronti dell’handicap è un irritante ed ipocrita forma di pietismo da parte della comunità. Forse qualcuno me lo svelerà nell’al di la, al momento non mi è chiaro perché un ragazzo seduto su una carrozzina non sarebbe in grado di parlare. “Come la vuole lui la pizza?”, “Cosa gli è successo?”, “Quanti anni ha?”, “Cosa fa nella vita?”, “Provato ci ha ad andare a Lourdes?”; ora penserete che scaturiscono dalla mia solita inclinazione all’ironia, mentre sono tutte maledettamente vere, ed aggiungo che stavolta, di ironico, ci vedo ben poco. Tutte queste domande vengono rivolte a me, non ai disabili che accompagno, loro sono seduti, quindi , di conseguenza non parlano; e nonostante io informi che oltre a non essere il loro avvocato, essi sono dotati di parola e pensiero, e ancora nonostante dopo aver verificato che effettivamente parlano, capiscono e rispondono, la tentazione è irresistibile: “La ragazza a ce l’ha?”. “Non conosco la sua vita privata, e non so se gli farebbe piacere che dicessi i fatti suoi, ma siccome è dotato di parola e comprendorio glielo può chiedere”; io rispondo così.
La reazione delle persone a quel punto? Fissare l’oggetto di studio, osservare il fenomeno da baraccone, poi sorridergli con compassione ed accarezzarlo sulla testa come se si stesse cercando di consolarlo da un dolore indicibile, lancinante, che ti fa pensare solo a morire. Qualcuna lo abbraccia forte, affondandogli la faccia tra prosperosi seni, perché un disabile motorio, anche se ha 47 anni, certe cose lui non le può capire, perché un disabile motorio oltre a non parlare e a non pensare non ha sesso. Come gli angeli. È privo di libido, figuriamoci. Se quelle donne che hanno fatto questo gesto sapessero cosa sente, cosa prova e cosa dice il disabile motorio dopo che lo hanno cinto schiacciandolo fra i loro prosperosi seni, vivrebbero in un sottoscala vestite a lutto, fino alla fine dei giorni terreni. Certe signore ignorano che “eppur si muove”; i loro provinciali stereotipi non permettono di accettarlo.
Ora, a parte questi aneddoti introduttivi, è giunta l’ora di annoiare il lettore con un tentativo di interpretazione più seria del fenomeno. Quello che voglio provare a fare è comprendere l’approccio all’handicap mediante il modello degli stati dell’Io dell’Analisi Transazionale, sia nell’aspetto strutturale che funzionale. L’incontro con la diversità, io credo, solleciti quello stato dell’Io che in noi è più “energizzato” rispetto a questo tipo di esperienza. Intendo dire che a seconda dello stato dell’Io attivato, si valuterà l’esperienza dell’incontro con la diversabilità (ma anche con la diversità in genere) sulla base di schemi concettuali, emozionali e comportamentali caratterizzanti della tipologia di Ego in questione.
Provo ad elencare quegli atteggiamenti che, nella mia esperienza di educatore a contatto con la diversabilità ho avuto modo di osservare TUTTI nella comunità di Cretinopoli, in provincia di se stessa.
- a)DISPREZZO. A mio avviso qui è il Genitore Normativo critico a pensare: “Il disabile non è un essere produttivo della società. Egli, con la sua disabilità, assume lo status di privilegiato. È un peso”
- b)PIETISMO. Merita un discorso più completo e infatti lo farò. Qui a mio parere è il Genitore Affettivo negativo a pensare: “Poverino! Ma che disgrazia! E non c’è niente da fare oramai. Bisogna soltanto occuparsi di lui senza mai lasciarlo solo, aiutarlo in tutto perché è evidente che non ce la potrà fare mai da solo. Ha bisogno di essere vigilato, assistito, curato. Mi farò io portavoce dei suoi bisogni, lui non è in grado di capire di cosa ha bisogno. Sarò io a programmargli la vita, io lo posso capire” . Insomma la signora dai grandi seni.
- c)NEUTRALITA’. Lo stato dell’Io Adulto guarda ed osserva senza interferenze di stimoli ancestrali ed esperienziali. Può rivelarsi un approccio utile se lo si sta diagnosticando ed esaminando, non per costruire una relazione efficace in toto. Il pensiero potrebbe essere: “Lo vedo, è qui davanti a me. Già,è proprio anatomicamente diverso. Cosa avrà di preciso? Ora raccolgo i dati per analizzare”
- d)ESALTAZIONE. Ci vedo il Bambino Libero nella sua versione ribelle, che accoglie ma in modo dirompente, eccessivo, rinforzando di contro stereotipi e senza tenere conto anche dei limiti oggettivi: “Quelli come te sono i migliori! Io amo gli handicappati! Dai, ora ti carico sulla schiena e ci ruzzoliamo dalla collina, fino al fiume, su, non avere paura!”
- e)PAURA. Senza alcun dubbio, lo stato dell’Ego prevalente qui è il Bambino Adattato passivo. Il fenomeno è osservato con sospetto e senso di minaccia alla propria integrità. Si evita il contatto rinunciando a prendere l’iniziativa di avvicinamento o apertura relazionale. Il pensiero potrebbe essere: “Ho capito che hai qualcosa che non va, ma se me ne starò buono buono qui, ignorandoti, allora non mi metterò in pericolo”
Ora, mi chiedo se esiste un atteggiamento funzionale, efficace, che può permetterci di interagire con la diversità, evitando scossoni e turbamenti intrapsichici. Se si, io credo che questo sia una sintesi degli aspetti funzionali positivi degli stati dell’Io Genitore e Bambino, includente l’atteggiamento dell’Adulto. Lo chiamerò approccio efficace, e sarà formato dai seguenti ingredienti: un po’ di Genitore Normativo costruttivo, che indica regole sane, di indubbia validità universale, perché è bene che anche il disabile ne segua qualcuna. Ancora dal Genitore abbiamo bisogno di Affettività protettiva in modo amorevole e maturo, cioè dobbiamo offrirgli affetto genuino e rassicurante, evitando di soffocarlo, di essere ansiosi e iperprotettivi, interventisti, di sostituirci a lui. Gli vorremo bene, e gli insegneremo al tempo stesso a cavarsela anche un po’ da solo, talvolta, dove può, senza dipendere sempre da qualcuno. Un tozzo di Adulto è indispensabile per poter accettare lo stato reale delle cose. Occorrerà anche saperlo vestire, aiutarlo nell’igiene personale, fargli fare una telefonata, sbucciargli un arancio, parlargli del nostro progetto con lui. Bene, la ricetta continua con un bel pizzico di Bambino Libero Naturale, una parte essenziale di noi che ci permetterà di giocare, ridere, scherzare, alleggerire il clima, se necessario, con un po’ di umorismo e di creatività estemporanea. Insaporiamo il resto con una bella dose di Bambino Adattato congruente, giusto per non ritrovarci insieme a scoppiare petardi al supermercato; possiamo continuare la nostra esperienza di sintonia affettiva tenendo conto del contesto e delle sue regole, se obiettivamente condivisibili e funzionali.
Quindi, a mio avviso, potremo promuovere un approccio efficace, e magari, chissà, riuscire anche a diffonderlo, evitando che ci si ponga in relazione con l’handicap partendo spesso da una posizione “up”, che svalutando l’efficienza potenziale o residua del diversamente abile, rinforza in lui l’immagine del poverino bisognoso, della vittima di professione che inconsapevolmente aggancia a giocare con lui a “Gambadilegno”. Quel tipo, cioè, di relazione disfunzionale dove un aspirante Salvatore dell’umanità decide di farsi intrappolare dalla Vittima mestierante, diventando serva, illusa di prestare aiuto, mentre, proprio perché priva di conoscenza su tale meccanismo, non sa quanto male sta somministrando a se stessa ed a chi sostiene di rivolgere il suo aiuto.
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