Storia di un counselor: come tutto ebbe inizio (almeno per me!) Settima parte


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Il mio secondo anno a Testa fra le Nuvole è certamente più impegnativo dal punto di vista orario. Aumenta il numero delle scuole interessate al nostro progetto mentre si dimezza il numero delle persone che compongono l’équipe. Per motivi personali o lavorativi ben tre persone (su un totale di sei) riducono la loro disponibilità oraria fino quasi ad annullarla del tutto. I tre rimasti (tra cui io) devono dunque coprire una richiesta che, almeno inizialmente, sembra insostenibile anche se poi scopriamo che molte delle scuole nuove chiedono interventi mirati e non continuativi. Comunque il lavoro non manca: un giorno alla settimana è dedicato allo sportello dell’Istituto Saluzzo Plana (quest’anno il Venerdì) inoltre mi rendo disponibile per andare (in un altro giorno che sarà spesso il Mercoledì e qualche volta il Sabato) in una delle scuole-novità dell’anno: una media di Novi Ligure. Questa scuola arriva a Testa fra le Nuvole tramite un Consorzio di Servizi Sociali locale, con il quale il nostro progetto aveva stipulato una convenzione durante l’estate. E’ una scuola piuttosto famosa nella zona perché considerata all’avanguardia. Numerosi sono i riconoscimenti ricevuti negli anni per tutta una serie di attività (soprattutto artistiche) che l’Istituto promuove tra i suoi alunni. Il vanto principale è l’attività teatrale che si svolge parallelamente a quella didattica e che ogni anno “confeziona” degli spettacoli (preparati dagli alunni delle terze) che vengono rappresentati in pubblico con grandi riscontri sui media locali.

Ci contattano perché sono interessati a fare delle attività di gruppo nelle terze per informare maggiormente gli alunni sulla tematica dell’alimentazione ed anche per dare loro uno spazio “neutro” dove poter esprimere eventuali dubbi, difficoltà e problematiche. Scopriremo in seguito che uno degli spauracchi più temuti da Preside e Professori è rappresentato dalle bande di adolescenti locali che costringono i ragazzi di dodici o tredici anni ad effettuare imprese al limite della legalità (ad esempio rubare soldi ai genitori oppure una bicicletta, fumare degli spinelli, picchiare questo o quello, ecc.) per poter essere degni di ammissione nel gruppo. Decidiamo che Carlo si occuperà da solo di condurre gli interventi sull’alimentazione mentre Rosella ed io faremo gli incontri di “sensibilizzazione sulle tematiche della pubertà e dell’adolescenza”. E’ la primissima volta che lavoro con ragazzi di scuola media ed è anche la prima volta che conduco un gruppo quindi inizialmente lascio che sia Rosella (più esperta di me in questo tipo di cose) a menare la danza. Col tempo prendo il mio spazio e trovo la mia giusta dimensione.

L’iniziale conduzione (di Rosella) con assistenza (mia) diventa poco a poco una vera e propria co-conduzione. L’approccio che proponiamo è ovviamente giocoso e, in generale, questa modalità viene ben recepita. In alcuni casi fin da subito, in altri dopo un iniziale imbarazzo dovuto al fatto che alcuni ragazzi si aspettano una lezione didattica con grafici alla lavagna su come si deve fare per vivere una perfetta adolescenza. Tutto fila piuttosto liscio e l’esperienza comincia a piacermi (confesso che inizialmente non l’apprezzo, preferendo di gran lunga lo sportello con gli alunni delle superiori) quando accade una cosa che ci segnerà parecchio e che ancora adesso, personalmente, tendo a rimuovere. Gli incontri sono con le singole classi tranne due casi in cui vengono accorpate due diverse sezioni. Nel primo caso si tratta di due gruppi che stanno preparando insieme lo spettacolo teatrale di fine anno e quindi collaborano già assiduamente e si conoscono bene. Il secondo “accorpamento” è apparentemente meno spiegabile, anche se capiamo presto a cosa sia dovuto…

Quel sabato ci rechiamo a Novi per fare il primo degli incontri con queste due classi riunite in Aula Magna. La sensazione è subito di un clima generale diverso dal solito ma non ce ne curiamo troppo. Più andiamo avanti, però, più la situazione si fa difficile invece che migliorare. C’è una tensione che si potrebbe tagliare con un coltello, i ragazzi non seguono affatto le nostre battute, anzi mi faccio la fantasia che pensino cosa cavolo abbiamo da ridere. Anche gli interventi e le domande sono meno numerosi del solito e a nulla valgono i nostri tentativi di coinvolgerli maggiormente. Due ore di questo tenore… Provo una sensazione di inadeguatezza e di impotenza così forti che me ne scapperei volentieri via. Al termine dell’incontro, mentre i ragazzi tornano nelle loro rispettive classi, si avvicina a noi un’insegnante di una delle due sezioni e ci dice con un mesto sorriso: “E’ andata abbastanza bene, no?”. Abbastanza bene? ABBASTANZA BENE? Ma è stato uno schifo completo, abbiamo fatto una pessima figura e probabilmente da domani cercheremo un altro lavoro…

Naturalmente non diciamo questo all’insegnante anche se entrambi lo pensiamo, come ci confesseremo in seguito; ci limitiamo ad un timido sorriso di circostanza quando lei incalza con un soffio di voce: “Sapete, la mia classe è quella del fratellino di E., fanno molta fatica ad aprirsi e oggi è andata molto meglio del solito”. Non ascoltiamo quasi la seconda parte della frase colpiti come una stilettata in pieno petto dalla prima parte… E., certo! Tutte le cronache nazionali ne hanno parlato a lungo meno di due anni fa. Un caso che desta clamore ancora adesso (una ragazza che uccide, insieme con il fidanzatino, madre e fratellino piccolo, simulando poi un’aggressione da parte di ladri extracomunitari) ed un nome ormai indissolubilmente legato a quel tragico evento. Mille pensieri mi frullano nella mente ad una velocità supersonica: “Come cavolo ho fatto a non mettere insieme il fatto che venivamo ad operare in una scuola di questa cittadina con il rischio di capitare proprio in questa situazione?”. E ancora: “Adesso capisco tutto!”; “Abbiamo fatto gli scemi per due ore con i compagni del povero G.… Che vergogna!”; “Perché non ce lo avete detto prima?”; “Ecco perché sembravano così… adulti!”. Usciamo naturalmente stravolti e decidiamo di approfittare della supervisione di Testa fra le Nuvole, programmata per la settimana successiva, per sfogare tutta la nostra frustrazione.

La nostra supervisora ci ascolta a lungo, dopodiché si dimostra decisissima sul proseguimento dell’attività: non possiamo assolutamente fare finta che nulla sia successo e dobbiamo chiedere un incontro chiarificatore con la scuola, nel quale esprimere il nostro vissuto di grande difficoltà e proporre di dividere i due gruppi-classe per poi proseguire separatamente l’attività. Nel caso in cui poi emergessero bisogni specifici della classe in questione sarebbe doveroso che la scuola se ne facesse carico anche chiedendo il supporto di altri professionisti. Così facciamo, ed il colloquio col Preside della scuola è surreale, quasi comico in alcuni momenti se la situazione non richiamasse invece a qualcosa di così tragico.

Con molta difficoltà e tatto esprimiamo il nostro vissuto ed il grande imbarazzo provato nello scoprire che avevamo fatto la nostra attività alla classe del povero fratellino di E. “E., quale E.?” è la sorprendente risposta. Rimaniamo per un attimo senza parole ed in quell’attimo l’uomo di fronte a noi recupera parte della propria lucidità e improvvisamente realizza di chi stiamo parlando… “Ah E...… quella! Scusate vi dispiace se fumo?” Con mani tremanti prende una sigaretta e nel gesto di portarla alla bocca la disfa tra dita improvvisamente diventate tenaglie per la tensione. A questo punto si lancia in una non richiesta difesa dell’operato della scuola rispetto ad una situazione così difficile che loro non si erano mai trovati ad affrontare. Viene fuori che questa classe non ha mai fatto (in due anni!) un lavoro specifico per elaborare il lutto di un evento così dilaniante. “Abbiamo pensato che queste sono cose personali nelle quali la scuola non ha il diritto d’intervenire.

Ci è sembrato meglio lasciare alle famiglie la libertà di intervenire individualmente dove ritenuto necessario”. Non replichiamo minimamente. Il Preside è abbastanza scosso di suo ed inoltre non è certo nostro diritto giudicare una situazione così complessa. Quel che è certo è che non vogliamo renderci complici di un errore e continuare a fare come se niente fosse. Avanziamo la richiesta di vedere la classe da sola e su questo il Preside si dimostra d’accordo dandoci carta bianca. Quel secondo incontro ci vede inizialmente più composti e guardinghi. Decidiamo di essere onesti. Certo non si può dire loro: “Salve, abbiamo saputo che voi siete i compagni di G. e siamo qui per ascoltare i vostri ‘fantasmi’ su questa vicenda” ed infatti non lo facciamo. Ci pare giusto, però, rimandare loro la grande difficoltà che avevamo provato la prima volta e dire che, proprio per questo motivo, abbiamo pensato che forse non era stata una buona idea unire due classi che si conoscevano a malapena. Per cui questo secondo incontro è tutto per loro. Sembrano sollevati da questo ed anche dalla nostra attuale modalità più adulta e meno “giuliva”.

Nessuno osa parlare di G. ma molti ragazzi parlano di se stessi e dei loro dubbi. Solo verso la fine, quando forse iniziano a sciogliersi un po’, qualcuno osa dire che si aspettava “qualcosa di diverso” dalla nostra venuta in classe. Proviamo a seguire questo assist ma è troppo presto, la fiducia è una cosa che va conquistata un pezzo per volta e in casi del genere con ancora meno fretta. Chiudiamo l’esperienza nel modo più dignitoso possibile sperando che la scuola ci offra la possibilità di lavorare ancora con questa classe. Possibilità che, purtroppo, non ci verrà più data.

Anche se penso che i numeri siano un po’ freddi e non diano un ritorno assolutamente esatto di quella che è per noi l’esperienza di Testa fra le Nuvole, mi sembra importante citare qualche cifra che possa aiutare a meglio definire l’entità di questo progetto. Personalmente, nei due anni di attività, ho fatto 89 colloqui di sportello (31 il primo anno e 58 il secondo) e condotto assieme a Rosella o Carlo circa una quarantina di incontri a tema nelle varie classi. Nei tre anni totali di attività, Testa fra le Nuvole ha effettuato complessivamente quasi quattrocento colloqui di sportello e organizzato circa centocinquanta incontri di educazione alimentare, educazione sessuale e di riflessione sugli aspetti più frequenti nelle fasi della pubertà e dell’adolescenza. Nell’ultimo anno, infine, l’attività nelle scuole ha ottenuto, per la prima volta in modo omogeneo, un riconoscimento economico che l’ha portata ad essere sempre più, per alcuni di noi, un’attività professionale e sempre meno un’opera di volontariato. In sintesi buoni risultati che ci hanno convinto a continuare per la strada intrapresa con sempre maggior convinzione.

Ed eccomi qua. Sempre fermo al solito semaforo. Genova è incredibilmente piccola ed alcuni semafori rossi durano una vita... Ripenso a questi tre anni, a come mi sentivo, proprio qui, mentre decidevo di intraprendere questo percorso. Ripenso alla mia vita prima di approdare al Counseling. A come tutto ciò che ho fatto, anche le cose apparentemente più inutili o lontane da questo, siano state per me importanti fino a fare di me il Counselor che sono e che sarò. Penso al bimbo impaurito che non riusciva a fidarsi degli adulti che dovevano essere il suo principale riferimento; al bambino-adulto che si preoccupava di fare da “mediatore familiare” invece che giocare con i propri amichetti; all’adolescente inquieto ed insoddisfatto di tutto; all’adulto che compie, sapendolo, una scelta sbagliata di studi; al mio percorso lavorativo sempre all’inseguimento di una professione nella quale sviluppare la sensibilità e le capacità d’ascolto che so di possedere; alla decisione di abbandonare la facoltà di Economia e Commercio per scegliere l’agognata facoltà di Psicologia; a questo percorso di Counseling; alle competenze che ho acquisito e alla crescita personale che ne è derivata; alle possibilità lavorative che mi sono creato in questo tempo, sia con Testa fra le Nuvole, sia con l’A.S.P.I.C. di Genova, con la quale ho anche avviato una Sezione Scuola e Formazione, sull’esempio dell’organizzazione esistente a Roma; alla scelta coraggiosa di abbandonare ogni altro tipo di lavoro per fare il Counselor a tempo pieno.

Tutto questo (e molto di più) sono io oggi e, parafrasando lo splendido libro di Polster “Ogni vita merita un romanzo”, credo davvero che la mia vita meritasse questo percorso triennale. Il primo passo ufficiale di una nuova vita.

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