Generalità sulla comunicazione umana - 2


comunicazione_umana_2Cosa fai, leggi? Il marito sta comodamente seduto in poltrona, con il giornale aperto davanti. La moglie, seduta sulla poltrona di fronte: “E’ tanto interessante quello che stai leggendo?!”. Apparentemente la moglie si sta solo informando sul livello qualitativo delle letture del consorte. In realtà quello che passa è un messaggio di estremo disagio e di critica che potrebbe essere tradotto con un “Ti spiacerebbe considerarmi un po’?”. Ogni messaggio ha infatti un aspetto di contenuto, quello che viene detto, e un aspetto di relazione, il modo in cui viene detto. Mentre la comunicazione dell’emittente trasmette un contenuto, un’informazione, il messaggio di risposta che riceverà da parte del ricevente sarà funzione e dipenderà quindi dal modo in cui lo ha trasmesso, dal contesto, dal tono di voce, dal non verbale.

E’ possibile, seguendo questo assioma della comunicazione, pronunciare due frasi che hanno lo stesso contenuto ma che, in realtà, definiscono relazioni molto diverse tra le persone in relazione. Facciamo un esempio: “Devi staccare la frizione molto dolcemente quando parti in salita”, e confrontiamola con “Stacca pure la frizione di colpo, vedrai che ancora un paio di partenze in salita così, e la butti via del tutto!”. Come ci sentiremmo al posto del malcapitato allievo del secondo istruttore? Stupidi, incapaci, non degni di fiducia…e bruceremo sicuramente la frizione! In conclusione, se ricordiamo che ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, possiamo aspettarci che i due moduli non soltanto coesistano sempre, ma che siano anche reciprocamente complementari in ogni messaggio.

E’ anche logico aspettarsi e dedurre che l’aspetto della relazione abbia maggiori probabilità di essere trasmesso per mezzo della comunicazione di tipo non verbale (Watzlawick, 1967). Il corpo non mente, le parole a volte sì. Nel settore della relazione facciamo affidamento quasi esclusivamente sulla comunicazione di tipo non verbale, o analogica, e così facendo ci discostiamo assai poco dalla eredità che ci hanno trasmesso i nostri antenati mammiferi. Ogni volta, infatti, che la relazione è il nocciolo centrale della comunicazione, allora il linguaggio di contenuto diventa pressocchè privo di significato. E’ qualcosa che vediamo quando si corteggia, quando si ama, quando si entra in conflitto, quando si aiuta qualcuno (Watzlawick, 1967). E’ difficile sostenere una bugia nel regno del non verbale e più forti sono le emozioni coinvolte nella comunicazione, e meno la comunicazione non verbale è sotto il nostro controllo consapevole.

Diventa quindi importante rendersi conto della propria comunicazione non verbale e anche saperla cogliere negli altri, perché ci permette di approfondire il livello della comprensione reciproca catturando informazioni preziose sullo stato emotivo dell’altra persona, conferme e incongruenze, desideri inespressi ed esitazioni, resistenze e aperture. I principali settori nei quali si esprime la comunicazione non verbale, come è noto, sono i seguenti: o L’espressione del volto, capace di trasmettere le emozioni più disparate o Lo sguardo, laterale o diretto, sfuggente, rivolto verso terra o verso l’alto o I gesti ed il movimento del corpo, volontari o involontari.

C’è qui da notare che il potere personale e l’età, con il loro accrescersi, hanno l’effetto di ridurre notevolmente i gesti utilizzati dalla persona, a favore di altri mezzi espressivi o La postura, rilassata o rigida, ripiegata, eretta, curva, instabile o Il contatto, veloce, brusco o carezzevole, profondo e persistente o casuale ed esitante o Il comportamento spaziale, la prossemica che detta le regole della vicinanza intima o sociale, le barriere fisiche che poniamo tra noi e gli altri, la posizione che assumiamo nella stanza o in relazione al gruppo di persone o Gli abiti che indossiamo e, in generale, l’aspetto esteriore o Il linguaggio detto paraverbale, fatto di tono di voce, volume, velocità di eloquio, ritmo, accento, pause, interiezioni, espressioni vocali.

Non esiste un’interpretazione univoca dei significati attribuibili alle diverse situazioni sopra descritte. Osservare la comunicazione non verbale dell’altro offre soprattutto un’impressione immediata, una conferma o una disconferma del contenuto della comunicazione, (mentre dico che va tutto bene distolgo lo sguardo e assumo una postura ripiegata su me stesso, oppure racconto un fatto per me doloroso intervallandolo con risatine e scrollate di capo sminuenti). “Osservo il tuo sorriso e mi immagino un gatto che ha appena mangiato il suo topo….” Si può utilizzare una tecnica molto neutra e assolutamente efficace per rilanciare all’altro il nostro interesse per il suo modo non verbale di comunicare con noi: tale tecnica si chiama “Feedback fenomenologico” e permette di eliminare l’interpretazione personale dalla nostra reazione ai messaggi non verbali che l’altro ci invia.

Supponiamo di interagire con una persona che, mentre ci parla o ci ascolta, si tormenta le mani, si gratta gli avambracci o il viso; il nostro rimando potrebbe essere “Mentre ti parlavo ho notato che ti tormentavi le mani (o ti grattavi le braccia etc.), e ho immaginato che l’argomento potesse essere per te difficile da affrontare”. Oppure ancora, la persona è seduta sulla punta della sedia, con un piede più avanti dell’altro, e guarda spesso verso la porta: “Vedo che sei seduto in punta di sedia e che i tuoi piedi sono in posizione di partenza; mi fanno pensare ad una fuga imminente”. Il concetto di base, esemplificato dalle due situazioni sopradescritte, è il seguente: non interpreto il tuo comportamento, non ti dico, nel primo caso “Sei in difficoltà”, e nel secondo “Vedo che stai per fuggire”, frasi che hanno tanto il sapore di un giudizio inappellabile, carico di disapprovazione per la tua inadeguatezza alla situazione.

Prendo su di me la responsabilità di quello che immagino e penso, riferendomi, ancorandomi a qualcosa di fenomenologico, oggettivo, che cade sotto i miei sensi, che vedo semplicemente come un fatto che accade, i tuoi piedi, le tue mani e i loro movimenti. Questo consente ad entrambi, a me e a te, di salvaguardare la relazione, di modificarla, volendo, con un sorriso, con una giustificazione, accettando il rimando o non accettandolo per vero, di non rimanere inchiodati da un’interpretazione che, anche se corrisponde a verità, nel migliore dei casi genera imbarazzo, fastidio, senso di invasione o di lettura della mente. Le patologie della comunicazione. Ovvero, quando la comunicazione è malata e fa star male chi comunica. Una coppia, marito e moglie, aveva un caro amico in comune.

Un giorno, mentre il marito era solo in casa, aveva ricevuto una telefonata dall’amico che gli aveva comunicato di dover passare qualche giorno nella loro città per motivi di lavoro. Il marito lo aveva immediatamente invitato a trascorrere quei giorni a casa loro come gradito ospite. Ma quando la moglie lo aveva saputo, avevano litigato furiosamente per questa offerta di ospitalità che il marito aveva fatto. Eppure, se la moglie si fosse trovata a rispondere al telefono all’amico comune, gli avrebbe certamente fatto la stessa offerta! Quale era il problema vero? Su cosa stavano davvero litigando? Il problema riguardava la relazione ovvero, chi aveva il diritto, nella loro coppia, di fare inviti in prima persona senza interpellare e coinvolgere l’altro nella decisione? (Watzlawick, 1967).

Qui, l’accordo a livello di contenuto (non esistevano dubbi che l’amico dovesse essere loro ospite), mette chiaramente in luce il disaccordo a livello di relazione, ma questo livello è di gran lunga il più importante perché mette in gioco e in discussione per entrambi la definizione di sé come persona. Abbiamo detto infatti che la nostra autostima, l’immagine che coltiviamo di noi stessi, dipende in gran parte dai messaggi di conferma o disconferma che ci arrivano dagli altri. E’ come se, comunicando con un’altra persona, gli dicessimo: ”Ecco come io vedo me stesso”. La risposta che possiamo ottenere dall’altro, a seconda del suo atteggiamento di risposta, è una delle seguenti: “Sono d’accordo su come tu vedi te stesso”, , risposta che dà conferma alla persona sul proprio modi di essere; oppure “Non sono d’accordo su come tu vedi te stesso”, risposta che rifiuta il modo di vedersi della persona ma prende in considerazione la persona in quanto tale, tanto è vero che l’interlocutore si degna di risponderci a tono; oppure ancora “Non ti vedo proprio!”, risposta disconfermante della persona in quanto tale.

Vediamo un esempio pratico. Tre risposte alla stessa richiesta. Nostro figlio sedicenne ci chiede il permesso di stare alzato fino a tardissimo, martedì sera, per una festa alla quale parteciperanno tutti i suoi amici. Potremmo ora provare a negargli il permesso, utilizzando tuttavia tre diverse tipologie di risposta che, nel loro modo di essere strutturate, definiscono una relazione appartenente, rispettivamente, ad una delle tre categorie sopra viste: - Conferma: “Capisco che per te è importante. Mercoledì tuttavia c’è il compito in classe di matematica e vorrei che tu fossi riposato. Ti propongo di tornare prima dalla festa e poi sabato potrai stare quanto vuoi” - Rifiuto: “Non credo proprio! Chi lo fa poi il compito di matematica?” - Disconferma: “Pensa piuttosto a studiare!”

La prima risposta è di quelle che garantiscono la conferma del sé del ragazzo, ne agevolano lo sviluppo, ne aiutano la stabilità mentale, pur negando il permesso. Prende in considerazione il sentimento, fornisce motivazioni al no, rilancia la proposta. La seconda nega decisamente il permesso ma sta sull’argomento, riconosce il ragazzo come interlocutore e la sua proposta come degna di essere presa in considerazione. La terza risposta nega persino l’esistenza stessa del ragazzo in quanto nostro interlocutore, non prende nemmeno in considerazione il messaggio in quanto tale, svia l’argomento e ridicolizza sia la richiesta sia la persona che l’ha avanzata.

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