apprendere, condizione irrinunciabile e così poco desiderata...


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apprendere, condizione irrinunciabile e così poco desiderata...           

            Anche alle parole accade, come a noi esseri umani, di godere di grande fascino, di essere catalizzatori di buoni sentimenti, di essere amati oppure di durare grande fatica a farsi accettare, nonostante la sincera, evidente predisposizione verso gli altri.

Ci sono parole, come esistono persone che conosciamo e che magari un poco invidiamo, che si fissano nell'immaginario collettivo come un'àncora gioiosa, un punto di riferimento piacevole, che allertano le nostre energie e ci fanno apparire d'un tratto migliore anche la realtà: sono parole come gioco, altalena, libertà, sinergia, contatto...Non fa differenza l'ambito che evocano, qualunque esso sia è immediato portatore di benessere, di teneri ricordi d'infanzia, di rinvigorimento di forti propositi per l'immediato futuro. Ci sono però anche parole il cui più grande potere è di allontanarci, di comunicarci "a pelle" sensazioni confusamente sgradevoli, di suggerirci pesi e oneri non richiesti e soprattutto che non avvertiamo come utili e una di queste parole è apprendere, uno dei sei bisogni essenziali per l’uomo. È un verbo che abbiamo imparato a conoscere fin da piccoli, ancor prima di andare a scuola e, anche grazie alla complicità spesso inconsapevole degli adulti, quel verbo in noi si è indissolubilmente legato ad altre possibili implicazioni come apprendimento, insegnamento, costrizione, fatica..., tutte segnate da un denominatore comune: un'imposizione indesiderata a cui non si può sfuggire che gli anni di scolarizzazione hanno incentivato alla grande.        Apprendere è venire a conoscenza di qualcosa, implica l’aggiungere, arricchirsi, aumentare, addizionare, eppure, in assenza di motiv-azione, neppure l'avidità di avere di più (che senz'altro ci appartiene in questo mondo di bisogni indotti) sale timidamente alla superficie e restiamo, anche in età adulta infastiditi al solo sentirlo nominare.

Perché mai un counselor può essere interessato a tutto questo, insomma al destino delle parole e al loro minore o maggiore indice di gradimento?  Non una ma una serie di motivazioni conducono il counselor a tenerne conto, a cominciare dal fatto ineludibile che la sua attenzione e accettazione empatica verso la persona in aiuto non sarà mai realtà se mancherà intesa reciproca sul linguaggio e sui termini usati, ma soprattutto eviterà che un'azione, che risuona sgradevole all'altro, sia proposta come via di risoluzione al problema. Immaginiamo facilmente la re-azione e l'immediata resistenza dell'interlocutore che configura l'apprendere come un subire, nel momento in cui il counselor proporne di apprendere una nuova strategia.  É certo che ciascun di noi apprende nella vita e continuamente ogni nostra condizione, ogni situazione che viviamo è apprendimento e strumento di cambiamento, ma come è improduttivo suggerire alla persona in aiuto di cambiare, altrettanto improduttivo sarà suggerirle di apprendere altro. Per uscire dal problema e dunque cambiare la situazione in meglio, occorrerà apprendere una strategia appropriata, efficace, farla propria e attuarla: alla competenza del counselor, alle sue doti di comprensione del focus all'origine del disagio della persona in aiuto, restano affidate le modalità efficaci da attuare, individualizzate e personalizzate, anche nell'uso delle parole.

 

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L'immagine:

Reconnais-toi

Cette adorable personne c'est toi

Sous le grand chapeau canotier

Oeil

Nez

La bouche

Voici l'ovale de ta figure

Ton cou exquis

Voici enfin l'imparfaite image de ton buste adoré 

vu comme à travers un nuage

Un peu plus bas c'est ton coeur qui bat

Guillaume Apollinaire,

Calligramme, extrait du poème du 9 février 1915, poèmes à Lou

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

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