CAUSALITA’ E CASUALITA’. Il controllo e l’imprevedibile in una prospettiva integrata

Inviato da Nuccio Salis

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Il bisogno del controllo e della organizzazione di una struttura di azione prevedibile, che conduca a risultati attesi e programmati, si afferma come esigenza nettamente dominante nella sfera degli obiettivi e delle stesse caratteristiche facenti parte della persona. È noto infatti come ciò produca una sensazione di sicurezza che fornisce orientamento e direzione verso una rotta sicura. È proprio sulla base di tale necessità, a carattere prevalente, che il percorso dell’aiuto alla persona viene congegnato. Di fatto, ciò significa che l’itinerario esperienziale proposto e sollecitato all’indirizzo del soggetto che intraprende il suo impegno formativo, si sforza di aderire ad un principio di ottimizzazione della certezza, nell’impegno di regolare il percorso secondo una linea di sviluppo che raggiunga le soluzioni desiderate.

È risaputo come questo tipo di approccio, tendente a svolgere il servizio alla persona in stato di bisogno, sia soggetto e collaudato da una molteplicità di indirizzi e teorie che di volta in volta possono anche integrarsi, ed applicarsi comunque secondo schemi e prescrizioni più o meno rigidi. L’approssimazione e la semplificazione desunta da ideogrammi sequenze a blocchi, secondo i quali un determinato percorso dovrebbe avvenire, non può tuttavia non consentire uno spazio che io chiamo “accettazione dell’imprevedibile”.

L’esperienza dichiara oramai che non è pensabile pianificare con un tale rigore a tal punto di possedere una gestione totale di ogni variabile che concorre allo scenario del proprio cammino di crescita. Spesso, sembra però che le stesse teorie del counseling preferiscano dimenticarlo, come per aderire pedissequamente alla spinta sociale verso la ricerca e l’ottenimento di soluzioni rapide, efficaci e ad alto rendimento. Se da una parte, questo può tranquillizzare il cliente in merito ad una sorta di pretesa di immediatezza logica e solutoria, d’altra parte può colpire ciò che rappresenta proprio il fulcro nevralgico del counseling, ovvero impegnare la persona a co-partecipare al suo piano di cambiamento, mobilitando se stesso come soggetto esploratore e ricercatore che impiega pazienza, che impara anche a saper attendere, che accetta e promuove spazi di rielaborazione (condivisa e personale), che si affranca dalla frettolosa brama di giungere a soluzioni che aumentino sì le quote del proprio profitto (in senso lato), ma che di contro hanno sottratto il tempo alla qualità processuale del proprio divenire come protagonista.

Da questo punto di vista, il counseling dovrà mostrare tutta la sua efficacia, proprio riprendendo il senso di un percorso che crea significati profondi nell’intima esperienza esistenziale della persona, di modo che ella impari ad investire sul suo tempo e sulle sue risorse, superando illusioni fallaci e vincendo la tentazione a delegare le sue decisioni. Un approccio che non sia fecondo sotto questo aspetto, a mio modo di vedere è in collisione coi suoi stessi principi cardine che lo fondano.

In pratica, tutto ciò che da una parte può essere considerato errore, ostacolo e interferenza, e che dunque ricade nella costellazione delle variabili da prevenire e controllare per la loro potenzialità distruttiva, potrebbe invece addirittura essere rivalutato come eventualmente un nuovo recipiente di inedite possibilità, secondo un approccio creativo, che tende a non abolire l’imprevedibile. L’affermazione dell’ipotesi creativa genera un paradigma procedurale secondo cui l’imprevisto non solo non fa più paura, ma può nientemeno che diventare una possibile nuova dimensione di ri-programmazione del proprio piano d’azione, obbligando ad una rilettura del proprio sentiero, ad un riesame circa l’ordine e la priorità dei propri valori e bisogni. Questo tipo di modello apre ciò la pista ad un atteggiamento di esplorazione e di ricerca, necessario alle nuove scoperte, utile all’incontro con l’inedito. Peraltro, sarebbe proprio questo nuovo orizzonte relativo a una nuova modalità espressiva di sé, ad assolvere con piena e maggiore efficacia il compito del fronteggiamento di problemi dalla svariata natura.

Se ciò implica da una parte il ritrovamento della persona con se stessa, che si ricongiunge alla sua dimensione di autenticità e di costruttiva volontà, d’altra parte si promuove la stessa salvezza scientifica del counseling, che coglie così la possibilità di arricchire la propria azione, impegnandosi ad includere l’imprevedibile e ad ammetterne il non pieno controllo. Su questo aspetto, l’azione del counseling si propone come pregna di una missione propriamente educativa, in quanto offre un modo più efficace, flessibile ed aperto nell’affrontare i propri percorsi di transizione trasformativa, ricorrendo eventualmente anche a ciò che apparentemente sembra frapporsi come ulteriore difficoltà.

D’altra parte, è proprio l’atteggiamento rigido e il bisogno di controllo che genera spirali problemi che e ne esaspera le complicazioni. Ciò che invece bisogna pienamente sollecitare è la manifestazione di un pensiero circolare, in grado di abbracciare la complessità, contemplare l’intreccio dinamico dei percorsi solutori, che consideri la multilateralità delle varie direzioni: per esempio un rapporto interattivo fra percorso deduttivo e modalità induttiva.

Ciò offre una visione più aperta, chiarificatrice e completa delle strutture problemiche, evitando riduzionismi e scappando da ciò che non può essere controllato. In linea con il pensiero del filosofo Edgar Morin, bisognerà pur prendere atto che la volontà, l’intelletto e la coscienza programmano l’azione senza tuttavia offrirle garanzia globale di controllo e prevedibilità. Tali elementi citati, abitano nella persona in funzione del rapporto che la stessa vive con il suo ambiente di riferimento, il quale a sua volta assume una relativa significazione in merito alla personale costruzione di modello di realtà, sviluppato con un certo margine di libero arbitrio dall’individuo stesso.

Il principio di causalità è congiunto dunque alla casualità, e vi si integra senza l’inflazionato vizio dualistico e separatista tipico della matrice di una certa filosofia occidentale. Razionalizzare l’azione non può escludere elementi quali il caso, l’aleatorietà, l’incertezza, la contraddizione, l’inaspettato. Tali fattori costituiscono inevitabilmente l’esperienza del divenire, e a volte proponendosi più come possibilità che come incidente ed ostacolo. Per comprenderne la portata e l’intrinseco valore potenziale di mutamento ed evoluzione, sarà necessario mettere in discussione paradigmi limitati e fare appello alla propria volontà nel comprendere ed accogliere un nuovo paradigma in cui l’ostacolo può diventare risorsa, e la paura è trasformata in volontà di apprendere. È questo, d’altronde il solo territorio in cui il counseling conferma il proprio legittimo statuto come possibilità di aiuto veramente efficace. 

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