VIVERE O SOPRAVVIVERE? Le parole della resilienza al servizio della crescita personale

Inviato da Nuccio Salis

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Tutti noi pratichiamo la resilienza. Anche se non ce ne rendiamo conto, anche nel caso in cui non conosciamo la natura di tale processo. Ciascuno di noi, in quanto soggetto facente parte di un contesto sociale che impone all’individuo pressanti sollecitazioni esterne, procede nella propria vita ricevendo dall’ambiente numerosi input che sospingono a ostacolarci, bloccarci, ad impedirci l’avanzata. Le diverse prove alle quali siamo sottoposti quotidianamente, necessitano di tutta la nostra forza reattiva per poter essere affrontate e superate. Capita, dunque, che talvolta si affondi, ed è proprio in quei momenti che bisogna ritrovare la propensione verso un agire efficace, in grado di risolvere l’impasse e ri-costruire un senso, una marcia e una direzione.

Una volta giunti alla risoluzione del nostro personale conflitto, siamo già diversi rispetto a come eravamo prima che l’evento ci imbrigliasse con tutto il suo avvicendarsi. Ragion per cui, attivare la resilienza significa di fatto compiere un’esperienza di crescita. Superati gli ostacoli e risaliti a galla, infatti, ci si ritrova con un più ampio corredo esperienziale, più maturi, più fortificati, più coscienti di sé, ovvero con una visione di sé più chiara, che mette in luce sia le risorse che i punti critici.

 

Proprio l’esperienza del “di più”, pare essere l’elemento caratterizzante che costituisce il nucleo della resilienza. Se, come scrivo all’inizio di questo articolo, tutti noi pratichiamo la resilienza, è anche vero che ciascuno la praticherà a proprio modo, facendo ricorso al proprio bagaglio personale di abilità. Credo sia importante, vista anche la natura di una realtà sociale così complessa e altamente conflittuale come la nostra, acquisire una certa competenza a ritrovare quella propulsione interna per riemergere dalle difficoltà. Si può discutere, tuttavia, dentro quale ipotetica sinossi debbano rientrare i fattori che contraddistinguono l’atteggiamento resiliente. A mio avviso, sarebbe opportuno inquadrare la resilienza come una sorta di spinta alla risalita che include prima di tutto una forte motivazione al miglioramento. Mi spiego: ciascuno di noi, per sopravvivenza, tende a restituire una controspinta alle sollecitazioni ostacolanti poste dalle condizioni ambientali. Generalmente si è orientati a procedere “nonostante tutto”. Bisogna ammettere che spesso, però, la direzione a procedere e continuare diventa un percorso ostinato, dovuto dal mero istinto di conservazione. Il concetto di resilienza, invece, non dovrebbe limitarsi al fatto di descrivere un’azione che fronteggia la forza che ci opprime, quanto piuttosto dovrebbe riferire di una capacità, da parte di ciascun soggetto che lotta con gli ostacoli della vita, di accogliere l’evento ostacolante come un’opportunità di maturazione e rilettura di sé. È dentro questa chiave evolutiva che può essere garantito anche il senso delle proprie azioni, affinché l’essere resilienti comprenda soprattutto l’impegno nel capire le dinamiche dei propri vissuti, alla ricerca di una soddisfacente spiegazione che renda più chiara la struttura dei propri significati. Se non si considera tutto questo, il soggetto rischia soltanto di farsi adescare in una co-azione a ripetere, circolare, stereotipa e inconcludente.

Il vicino di casa, il conoscente o il passante occasionale, sono molto esperti nel sentenziare che “la vita deve andare avanti”, facendo esclusivo riferimento alla pulsione naturale ad autoconservarsi. Con questa spiccia frase fatta, infatti, ci si libera subito da un coinvolgimento personale con l’altro da sé, e si evita di approfondire significati verso cui non si ha alcun interesse a condividere. La resilienza richiede invece una dimensione del riflettere, qualora volesse elevarsi ad una qualità processuale che la rende definibile sotto questa espressione. Si è resilienti quando la propria re-azione è anche un agire legato a un progetto, a un’idea che si fa atto, quando si è rivolti a un sistema di valori e ad un orizzonte di significati che ci appartengono. La resilienza è dunque connaturata anche ad un linguaggio, inteso proprio come un possibile frasario a cui si può fare riferimento. Esso potrebbe essere il seguente:

 

_ “Ce la farò! So di potercela fare!” È la persona che conta su se stessa. Ciascuno di noi, per poter contare davvero sulla propria riuscita, dovrà anche possedere un progetto,  perché la sicurezza su di sé non può limitarsi a un fatto caratteriale, ma essere dotata di una serie di ipotesi concrete e realizzabili. Ci si può domandare ‘qual è il mio piano?’, ‘Cosa propongo in termini realistici per fronteggiare questo mio problema?’ Queste riflessioni possono costituire un interessante crocevia in cui si confrontano e si intrecciano la speranza e la competenza, alla ricerca di un’alleanza al servizio della persona.

 

_ “È tutto sotto controllo! So esattamente cosa fare!” Il bisogno di esercitare un monitoraggio sicuro degli eventi è un’istanza molto sentita e comunemente diffusa. Certo, possedendo un programma di controproposte, l’azione resiliente può essere più facilitata, poiché maggiore è il ventaglio delle idee, delle risorse o delle abilità, e maggiori saranno anche le opzioni per finalizzare i propri intenti e soddisfare le proprie necessità. L’importante è che queste affermazioni non si basino per l’appunto su una illusione, e nientemeno che su una sopravvalutazione di sé, dovuta magari all’orgoglio o anche all’incapacità di vedere i propri limiti. È opportuno infatti, proprio perché si possiede un piano di azione e dunque idee, strumenti ed obiettivi, adottare un atteggiamento flessibile e aperto ai cambiamenti, in modo da rispondere con efficacia alle situazioni caratterizzate da estemporaneità nel concatenarsi degli eventi, soprattutto laddove questi si palesano nella complessità e nella repentinità dei cambiamenti situazionali. Questo aspetto è importante perché l’esigenza naturale e legittima del controllo non ingabbi il soggetto dentro un quadro di aspettative di fronte alle quali, in caso di mancato soddisfacimento, si avverta un senso si paralisi, confusione e disorientamento.

 

_ “Riusciremo ad adattarci!” Ciò che bisogna tenere presente è che la resilienza non è affatto sinonimo di resistenza passiva. L’adattamento offerto dall’atteggiamento resiliente è un processo pro-attivo, e ciò acquista un significato che include prima di tutto una forte motivazione nel soggetto agente, che ha l’interesse di promuovere nell’ambiente un’azione che tenga conto della dinamica circolare e creativa fra individuo e ambiente. Esercitando la resilienza, l’individuo si propone come soggetto costruttore di significati, consapevole della sua influenza attiva.

 

_ “Conosco chi può aiutarmi!” Questo è un aspetto decisivo fra le componenti della resilienza. Si tende forse a guardare al soggetto agente come una sorta di super-eroe che tutto affronta e tutto risolve, contando soltanto sulle proprie forze. Ma non si smette di essere resilienti se ci si fa aiutare. Tutt’altro, mostrare una matura azione resiliente significa anche ricercare la possibilità di un sostegno efficace da cui ricevere incoraggiamento, guida, conforto, consiglio, supporto affettivo, aiuto materiale; tutto ciò che può facilitare l’impresa legata al percorso del riaffiorare fra le difficoltà. Lasciarsi aiutare può rivelarsi determinante per non essere schiacciati dal peso degli eventi problemici.

 

_ “Bisogna capire perché è successo e agire di conseguenza!”  Se è vero che resilienza non è certo mentalizzazione, è altrettanto vero che nessuno ci impedisce anche di ricercare le diverse angolature dei possibili significati, in merito alle cose che ci accadono. Comprendere, o quantomeno tentare di farlo, può arricchire la possibilità di esplorare ed esperire anche nuove possibili prospettive e punti di vista, ovvero possedere di conseguenza ulteriore materiale per programmare un’efficace e strutturata azione resiliente.

 

_ “Sceglierò di fare diversamente!” Questa è la frase che delinea un atteggiamento pronto a rimettersi in gioco e in discussione. La resilienza non è una mera opposizione che spinge l’individuo a misurarsi in una prova di forza con il problema dato. Essere resilienti, ed esserlo in un modo che denota una buona qualità della propria azione, significa assumersi l’impegno di modificare anche l’approccio o la visione stessa della struttura del problema, prendendo atto di come sia necessario riservarsi di utilizzare di volta in volta risorse, strumenti o strategie differenti, seguendo ed interferendo attivamente sul processo trasformativo del problema. Si tratta di sviluppare la competenza di accettare e promuovere l’eventuale cambiamento delle condizioni poste in essere, migliorando l’abilità di essere rispondenti nel cambiamento, e di capacitarsi nel divenire.

 

Manifestarsi come soggetti resilienti significa dunque elevarsi ad agenti attivi della propria esistenza, a ri-qualificare il proprio agire in termini decisionali, di autonomia e di libero arbitrio. La resilienza efficace trova risposte proprio a partire dal problema, ed insegna che affrontando e superando le difficoltà si può investire su un’esistenza più appagante, in cui reagire non sia solo sopravvivere, ma costituisca invece un’azione che può essere colta come occasione propizia per ricostruirsi come persona, per riscoprire la pienezza di sé ed emergere a nuova vita.

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