PERMESSI, POTERE E PROTEZIONE. Le tre P di una nuova dimensione di sè

Inviato da Nuccio Salis

auto potere

Il potere è generalmente inteso come un fattore che implica una tendenza dominante verso qualcuno che soggiace ed è costretto a piegarsi ad una qualche forma di schiacciante prepotenza. Tale concetto è assunto soltanto all’interno di una relazione, e viene sempre rimandata la condizione impari che si struttura fra un soggetto che impera su una rispettiva controparte, la quale viene forzata a soccombere ed accettare a proprio malgrado la sottomissione. Lo sbilanciamento iniquo fra i poteri distribuiti fra le parti, in termini di possibilità di azione, privilegi e prerogative, misura e definisce tale tipologia di relazione, rimarcando il concetto di potere con un’accezione sensibilmente negativa.

Ma è possibile riabilitare il concetto di potere, collocandolo piuttosto dentro una prospettiva di crescita in seno alla persona?

Se in fondo, il potere diventa anche interpretabile come espressione di sé, ciò significa che attribuirsi del potere coincide con la possibilità di manifestare il proprio Io, il proprio credo, le proprie qualità.

 

Il problema sul potere, dunque, assume a questo punto non tanto un’ottica quantitativa, piuttosto qualitativa, ovvero concentrata sulle modalità circa l’uso del potere. Si può avere potere su di sé e sugli altri, ma anche utilizzarlo non correttamente, e quindi per fini coercitivi e di manipolazione sul prossimo. Si può invece attribuirsi tanta responsabilità sociale quanto più potere si possiede. Nel senso che chi si trova nella condizione di poter influire sulle forme e sulle strutture del vivere sociale, potrebbe decidere di immettere e proporre cambiamenti a favore della collettività, oppure, di rafforzare ulteriormente la sua posizione di agio e di sedere il più a lungo possibile nella sala comandi. È una scelta, ed è forse l’esperienza storica proprio sulla base di tale scelta che ha collocato l’espressione “potere” fra le parole che evocano sempre qualcosa di sinistro e di terribile da cui diffidare.

Come operatori dell’aiuto alla persona, siamo chiamati a sollecitare e mobilitare le potenzialità peculiari dell’individuo, e non possiamo fare a meno di ottemperare al tentativo di far sviluppare nella persona il potere. Certo che in tal caso, esso è avvertito come una manifestazione di sé, favorita dai permessi interiori. Un soggetto accresce infatti la coscienza di se stesso dal momento in cui comincia a decidere di liberarsi da vincoli e condizionamenti paralizzanti, e che ha interiorizzato come comandi interni, divenuti obsoleti e seriamente bloccanti nei confronti del proprio spirito di iniziativa.

Il consulente che promuove la crescita della persona, cerca di portare in espansione questo processo di de-strutturazione dell’altro, stimolando e fornendo strumenti per il cambiamento e per il risveglio graduale nella dimensione della libertà.

Il potere si lega dunque con il concetto di “permesso”, poiché non ci si ascrive nessun potere se si ha un’idea di sé svalutante e distorta da una visione condizionata da blocchi interiori. Quindi, non solo sarà opportuno domandarsi quanto potere far riconoscere e sotto quale forma ed aspetto, ma sarà altrettanto pertinente chiedersi come offrire la possibilità di estrinsecare il proprio potere. Le strategie che si scelgono definiscono anche la cornice di senso di un cammino evolutivo, pertanto queste devono essere condivise e ben comprese da chi si impegna nel proprio percorso.

L’ipotesi di partenza resta comunque l’importanza di associare il potere al permesso. Nel senso che un individuo può esprimere potere, nel senso più positivo del termine, dal momento che approda ad una revisione della sua stessa identità, avvertendo la motivazione di rinnovarsi dentro una inesplorata dimensione da cui si attende una nuova condizione di equilibrio e di benessere.

Naturalmente, pochi o nessuno attivano in se stessi i permessi che rimandano al potere, senza nel contempo poter contare almeno su un margine di sicurezza che argini la sensazione di lanciarsi nel vuoto. Pertanto, insieme al permesso e al potere, deve triangolarsi nel medesimo tempo la “protezione”, la quale non può soltanto essere intesa come una sorta di ammortizzatore a cui ha provveduto l’ambiente esterno per tutelare la persona protagonista del suo cambiamento. Piuttosto, si tratta di individuare in tale concetto l’abilità stessa da parte del soggetto di attendere alle proprie iniziative, riuscendo a coniugare gli obiettivi con la capacità di cogliere il limite oltre il quale l’impresa diventa un azzardo sconsiderato. Questo aspetto riveste un’importanza primaria nell’organizzazione progettuale del proprio percorso, poiché lo stesso sia certamente energizzato e motivato dagli entusiasmi, immancabili ed essenziali per il giusto rifornimento di carica vitale, ed al tempo stesso gestito in modo congruente, sobrio, paziente e saggio.

Richiamando l’allegoria platonica del cocchiere, si potrebbe dire che il permesso è il cavallo nero che traina l’anima verso il desiderio del nuovo (tendenza passionale), e la protezione è rappresentata dal cavallo bianco che cerca di procedere tenendo conto anche delle reali opportunità offerte dal contesto, anche in termini normativi.

La direzione lineare equivale perciò alla gestione del proprio equilibrio interno, visibile attraverso le azioni riportate sottoforma di scelte concrete e risultanti comportamentali.

Il primo grande step, in ciascun caso, rimane nella prerogativa principale che consiste nell’entrare dapprima in sintonia con un nuove orizzonte mentale, affettivo e comportamentale, che riguarda la capacità di pensarsi attraverso i permessi, e di sostituire le proibizioni, divenendo maggiormente consapevoli di sé.

In elenco, ho provato a identificare i permessi verso cui ciascuno è chiamato ad orientare la propria attenzione:

“permesso di volersi bene, permesso di accettare complimenti, permesso di riconoscersi le qualità, permesso di sentire emozioni, permesso di chiedere e di dichiarare amore, permesso di esprimersi nell’affettività, permesso di relazionarsi in gruppo, permesso di esprimersi in modo autentico e genuino, permesso di esprimersi nel gioco, permesso di tendere all’affermazione di sé e alla propria autonomia”.

Tale lista offre alla persona la possibilità di ri-esplorare se stessa e di restituirsi una storiografia che propende a far emergere le origini e le motivazioni delle proprie proibizioni, la cui consapevolezza può condurre all’impegno di riprendere le redini della propria esistenza, riconoscendosi i bisogni più profondi, autentici ed attinenti alla verità del proprio progetto esistenziale.

Se si impara a volersi bene, si potrà agire con tale trasparenza, con la conseguenza di poter sostituire le congelanti ed anacronistiche proibizioni, con la possibilità dell’azione esplorativa e dell’espressione creativa, ovvero con i permessi, restituendosi in particolare quello più importante: il permesso di essere se stessi.

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