RESPONSABILITA’-AUTONOMIA-CORAGGIO: La triade della Libertà

Inviato da Nuccio Salis

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Cosa impedisce alla maggior parte delle persone di scegliere d’essere piuttosto che l’avere? Tutti noi siamo soliti stare nella convinzione che le nostre decisioni appartengano soltanto ad un personale ed intimo sistema di orientamenti e valori, il quale riteniamo autentico e assolutamente legato alle nostre scelte individuali.
Conformisti sono sempre gli altri!
È proprio questa convinzione, essendo per l’appunto soltanto un inganno, a dare spesso la prova del vivere nella società più omologata che la storia dell’uomo abbia mai conosciuto.
La possibilità offerta dalle tecnologie massmediali, in merito al divulgare su scala globale i modelli dominanti di una cultura su un’altra, ha determinato un vero e proprio etnocidio, a danno di coloro che sono stati invasi da chi ha imposto e massificato stili di vita differenti rispetto ai gruppi più vulnerabili.

Oggi non si devono prendere le caravelle o le carrozze per andare ad usurpare nuovi territori ed infrangere le regole delle strutture sociali che vi sono già stanziate. È sufficiente realizzare una pubblicità, un film, un videogioco, un’opera fruibile dal valore attrattivo, che forgi identità che superino le loro ancestrali insicurezze, e proprio grazie a queste creazioni che sanno comunicare alle parti più profonde o ferite di noi, quelle cioè che attendono riscatti e rivendicazioni, o antiche ferite emotive da sanare, o ancora un vuoto di amore mai corrisposto e disatteso.
E così, le grandi democrazie del dio denaro e del consumismo imbonitore di illusioni beote, sono riuscite ad arrivare a ciò che certe dittature sanguinarie, coi loro mezzi rudi ed inefficaci, non sono riuscite a realizzare: il controllo totale della massa. E dico: LA massa, e non come abitualmente sono costretto a sentire “le masse” o, peggio ancora, un’espressione come massa critica. Come fa una massa ad essere critica? L’espressione “massa critica” è un ossimoro, un’incollatura inappropriata di parole che danno luogo a un concetto improponibile. La massa, essendo una pappa informe dove ogni elemento eventualmente difforme da essa viene ingoiato ed appiattito, non può esprimere criticità, altrimenti sarebbe intelligente, reattiva, userebbe l’intuito, la perspicacia, l’ingegno, e forse, addirittura, la creatività. E allora nessun sistema di manipolazione del sentire collettivo si impegnerebbe a foggiare una massa, poiché costruirebbe l’antidoto al suo stesso veleno.
Chiarito questo aspetto, quell’insipido e sciapo brodo chiamato massa, e che castra e censura ogni tentativo di individualità, non viene riconosciuto dalla maggior parte dei suoi elementi, i quali, molto spesso, non solo non sanno di farne parte, ma rinnegano con forza di appartenervi in quanto si autoproclamano portatori di un pensiero libero ed originale. Ed è una cosa che dicono tutti, appunto.
La massa, invece, per la maggior parte degli adepti ivi immatricolati, con o senza il loro consenso, assume le funzioni di una gabbia dorata che protegge, direziona, offre tutti quegli elementi pre-impacchettati che consentono alla maggior parte delle persone di evitare il faticoso ed impegnativo cammino dell’autenticazione di sé. Tale percorso , infatti, è sempre accidentato e irto di ostacoli, e poi stimola troppo il pensiero, fa emergere preoccupazioni, spalanca visioni alternative non accettabili e non gestibili, ma soprattutto spinge ad assumersi responsabilità.
E la responsabilità è il vero prezzo della libertà. La libertà è distinguibile da altri concetti che spesso ne rubano il significato, e lo spartiacque sicuro, inequivocabile, che restituisce il corretto valore semantico alla parola “libertà”, è proprio contraddistinto dalla nozione di “responsabilità”. Quando una persona è libera davvero, allora sa assumersi responsabilità, ovvero è realmente in grado di costruire in piena e totale facoltà un proprio progetto di vita, e di seguirlo con senso di appagante autonomia, e ancor di più quando questo nobile itinerario si mette di traverso rispetto ai canoni comunemente condivisi e accettati.
Dunque, dopo “responsabilità” e “autonomia”, la terza parola chiave che indicherei come rispecchiante la libertà è coraggio. Mi riferisco a quel coraggio che conduce al difficile ma esaltante cammino dell’individuazione (altra immancabile variabile che abita nel concetto di libertà).
Procedere verso mete autonome e discrepanti rispetto alle idee diffusamente ritenute valide, è da ritenersi un lodevole atto di coraggio. Chi abbraccia questo tipo di scelta percorrerà la propria via crucis, con la consapevolezza (profonda o avvertita che sia) che dopo la fine del martirio è attesa una grande resurrezione.
Se così non fosse, fra l’altro, quale altra differenza ci sarebbe fra una persona stupida ed una intelligente? Sia stupidi che intelligenti si diventa, è una scelta, un modo di proporsi nell’ambiente. Il modo stupido è più semplice: seguire il branco, riprodurre solo ciò che viene solitamente riecheggiato da bocca altrui, ripetere ciò che gli altri si aspettano di sentire (e che possibilmente non coincidi con la verità), indossare ciò che la famigerata massa indossa, adottare quel tipo di comportamento o tendenza che la spinta omologante impone, uniformarsi ad un sistema di lettura superficiale sui fatti del mondo, proteggersi dal rischio dell’impopolarità saltando sul carro del vincitore, ottundersi nelle teorie considerate ufficiali e accreditate, credere soltanto a ciò che è insegnato come valido all’interno di coordinate dualistiche ed etnocentriche. Insomma, uno stupido è, prima di tutto essenzialmente acritico, è poi anche uno che si sottrae alla possibilità di imparare, che si conforma per paura del disprezzo, dell’incomprensione o del giudizio altrui, che non approfondisce, che non fa ricerca, che non propone nuove chiavi di lettura del sociale. Lo stupido è dunque, fondamentalmente, il cittadino modello dentro lo Stato Leviatano che dirige tutte le sue risorse per mantenere la macchina fabbricatrice seriale degli stupidi. Il controllo e la manipolazione sono garantiti.
Servono dunque milizie e manganelli, scuole di regime, tronfie divise ed imperanti simboli per mortificare la dignità degli esseri umani? No, le democrazie insegnano che è sufficiente indottrinare le persone all’ “arte” del delegare. Esse non devono curarsi della loro autonomia, non devono assumersi responsabilità ed avere coraggio, poiché questo le renderebbe ribelli, critiche, intelligenti, in una parola: libere.
Le dittature facevano anelare alla libertà, le democrazie ne fanno avere paura. È geniale. Creare lo schiavo che la pensa come il suo padrone, che chiede al suo padrone di seviziarlo ancora e ancora, che ricerca la prima catena da caviglia nel caso non se la ritrovasse, è stata davvero la pensata magistrale del sistema di potere mondiale.
Facendo leva sulla paura primordiale dell’essere umano, ovvero quella relativa all’angoscia abbandonica, si è creati un sistema di ricatto perfetto: se non ti allinei ai desideri massificati diventi impopolare, reietto, oggetto di incomprensione, subirai giudizi e maldicenze. Ed ecco perché a scuola, Gigetto deve avere lo stesso zaino di quella stessa marca e modello che hanno tutti, idem sarà immagino per il cellulare, le scarpe, il piercing, il taglio dei capelli, l’immancabile insaccato nel panino, e così via fino all’assunzione dei comportamenti di rischio, senza assumere i quali si è defenestrati dal gregge.
Tutto ciò succede perché gli adulti, campioni di conformismo, non sono in grado di offrire esempi di libertà: ovvero responsabilità-autonomia-coraggio. Anche loro sono dipendenti, da qualcosa, da qualcuno, e scelgono il tragitto più semplice: non pensare, non cercare, non chiederti, perché questo richiede tempo e soprattutto sacrificio, altra parola diventata tabù nella odierna “educazione” impartita da questa nuova generazione di genitori massificati.
Tutti noi professionisti dell’aiuto, quando offriamo ed eroghiamo la nostra azione supportiva, sappiamo che una persona in condizione di bisogno avrà sicuramente lesa questa triade “responsabilità-autonomia-coraggio”, e il nostro tentativo, infatti, è quello di risvegliarlo alla forza sopita del proprio Sé, sospeso dal suo esercizio di libertà. Ed ecco perché una relazione di aiuto onesta, si propone di trasformare la vulnerabilità della persona in un nuovo impulso di vita, col proposito di spezzare il movimento del delegare. In questo consiste propriamente la ricaduta sana, in termini altamente politici, della sintesi progettuale di un’azione di aiuto. La persona recuperata alla sua responsabilità-autonomia-coraggio, infatti, non ha bisogno né di dominare né di essere dominato, ed è pronto ad entrare su un piano di relazione interpersonale pieno di feconde prospettive. Questo compito, come operatori dell’aiuto ci rende anche umili fautori di cambiamento, affinché si generino nuove strutture interpersonali caratterizzate da condotte di pace e collaborazione fra esseri umani, e si riconduca nel contesto collettivo la triade fattoriale responsabilità-autonomia-coraggio.
Se il rapporto di scambio interculturale, difatti, non riproponesse sul livello macrosociale la struttura dei rapporti fra soggetto dominatore e soggetto dominato, probabilmente realizzeremo felici relazioni di reciproca contaminazione o rispetto fra gruppi sociali portatori di diversi capitali storici ed antropologici. Ma per pensare questo, e soprattutto per tradurlo in pratica, occorre sentirsi liberi.
 

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