COMANDI GENITORIALI POSITIVI: Elementi di decisionalità efficace

Inviato da Nuccio Salis

punti interrogativiPrendere una decisione è un processo dentro cui sono implicate numerose variabili. Tale flusso dinamico, diretto ad assumere una scelta più o meno ragionevole e ponderata, è costituito da una miscellanea di fattori in combinazione, e molto probabilmente legati fra loro da catene interdipendenti di scambio e di influenza reciproca. Per assumere una decisione è necessario mettere in campo speciali competenze che ciascuno di noi matura nel corso della sua esperienza di vita, e che mette da parte come bagaglio contenente un certo assortimento di “attrezzi” la cui natura può essere più o meno sofisticata. Dipende anche questo da fattori personali quali la formazione, la motivazione e l’attitudine o la volontà di imparare ponendosi nell’ottica della crescita permanente. Inoltre, decidere non soltanto equivale a scegliere il miglior strumento o piano ritenuto più idoneo nel conseguire la propria scelta, ma significa anche aggiungere il proprio stile personale di fronteggiamento, da cui dipenderà in gran parte la rappresentazione complessiva del progetto da attivare in direzione della scelta intrapresa.

Si sceglie dunque sulla base dei propri valori, attitudini, motivazioni, esperienza pregressa e volontà, e per poterlo fare è necessario aver puntato verso una meta. In aggiunta a tutto questo, come già messo in evidenza, si dispone inoltre di un proprio background che caratterizzerà le modalità di conduzione e di controllo riguardo al processo della scelta.

 

Avere dimestichezza col senso di responsabilità e percepirsi come soggetti dotati di competenze efficaci, per esempio, significa usufruire di notevoli elementi di vantaggio capaci di fare la differenza rispetto a situazioni personali in cui il blocco in merito alla scelta da intraprendere è dovuta alla scarsa sensazione di essere individui capaci di pensare, scegliere, trovare soluzioni, pianificare, sperimentare e agire.

Tali differenze fra individui possono essere rintracciabili anche nei percorsi esistenziali personali, dai quali si è avuto modo di incontrare figure ad elevata significatività sociale che hanno posto loro malgrado le basi per costruirci un certo modello di confronto e reazione verso l’ambiente nel suo complesso.

Una curiosità che mi sovviene, a tal punto, sta nel chiedermi quali strutture di base sarebbero maggiormente adeguate per sostenere l’idea che possa esistere una sorta di modello ipoteticamente funzionale.

L’Analisi Transazionale ci insegna che il rapporto ecologico fra l’individuo e l’ambiente a lui esterno è un legame vincolato molto spesso da soggettive distorsioni registrate durante l’interazione con le figure di accudimento e cura, le quali molto spesso risultano fonti emettitrici  di segnali destinati a colpire (a volte mortalmente) l’apparato psichico del bambino. Tali processi sono spiegati secondo diverse angolazioni e schemi descrittivi, a seconda degli autori che se ne occupano, anche se sostanzialmente tutti convergono col delineare l’esistenza di una serie di messaggi (apertamente dichiarati o d’altra parte inconsapevoli) che tutte le figure parentali primarie utilizzano verso ciascun bambino, cucendogli via via, col suo seppur rudimentale concorso attivo e partecipato, un costume legato a un ruolo sociale, a una trama di vita da espletare per compiacenza e adesione implicita alle richieste socio-famigliari.

Proibizioni e pressioni, più o meno dichiarate o nascoste, andranno a costituire l’intero impianto di personalità del bambino. Se per quantità ed incisività, tali inputs risultassero avere una valenza di notevole impatto, essi caratterizzeranno una modalità di esistere del bambino che porterà con se fino all’età adulta, tenendo fermamente presente la possibilità di trasformarla seguendo percorsi di crescita e di allenamento all’assertività.

Le istanze impersonali demandate al bambino dal suo sistema di riferimento socio-affettivo, allontanano il medesimo dalla possibilità di affermarsi ed autodeterminarsi sentendo la libertà e sperimentando il piacere di scoprire essenzialmente se stesso. Obblighi e vincoli, qualora trascendessero dalle ragionevoli ed accettabili norme e condotte a valenza assiologica ed educativa, forzano il bambino a riconoscersi esclusivamente dentro il quadretto delle proiezioni delle figure famigliari, ed assolvere alle loro richieste pena la perdita dell’affetto parentale, il cui solo pensiero apre ingestibili pensieri di morte e di angoscia abbandonica che costringono il bambino a incatenare la sana percezione di se soltanto a condizione del rispetto di un preciso comandamento genitoriale, che diventa l’intero corollario personologico con cui il bambino identifica la parte con il tutto, poiché ancora privo di raffinati strumenti di criticità e autoconsapevolezza.

I genitori non fanno tutto questo perché sono malvagi, ma manca loro la consapevolezza circa l’impatto delle loro azioni, parole ed esempi sul mondo psichico del bambino. Essi, spesso, come ci ricorda Eric Berne, trasformano i principi in rospi.

In antitesi a certi punti di indotta vulnerabilità dall’ambiente famigliare, ho provato ad elencare una serie di qualità da attivare e da riconoscere ai fini di avere utilità nel fronteggiamento efficace. Esse possono costituire importanti suggerimenti  ed esempi verbali che i genitori possono offrire ai loro figli.

 

_ ACCOGLI LA TUA FRAGILITA’ (vs comandamento genitoriale “Sii forte”): Guardare a se stessi come portatori di punti deboli e vulnerabili, senza che questo ci restituisca un’immagine di svalutazione personale. Bloccarsi, non riuscire a piangere e ad esternare i propri sentimenti potrebbero essere le conseguenze di un atteggiamento giudicante di autofustigazione. Prendere atto che essere forti significa essere in linea con le proprie emozioni autentiche, superando il giogo dei ricatti intrapsichici delle emozioni disturbanti.

_ ASCOLTA I TUOI BISOGNI (vs comandamento genitoriale “Compiacimi”): Negoziare con le altrui richieste ed esigenze senza rinunciare a se, calpestandosi, dimenticandosi ed ignorandosi, è questo un modo per sviluppare l’egosintonicità, la chiarezza e la fermezza dei propri intenti, obiettivi e necessità di realizzarli. Chi sa ascoltare i propri bisogni vive di emozioni autentiche, si prepara a condurre un’esistenza piena ed esaltante, in vista di progetti vivificanti.

_ IMPEGNATI RESPONSABILMENTE (vs comandamento genitoriale “Sforzati”): La scuola di pensiero del “non è mai abbastanza” è una dannazione che sottolinea sempre e soltanto l’aspetto della mancanza, di quello che non si è fatto bene o che si sarebbe potuto fare meglio. Riconoscersi ciò che si è maturato in termini di risultato e di impegno è il miglior modo per coronarsi ed elevarsi sempre a una positiva percezione di sé, senza naturalmente derive narcisistiche.

_ GESTISCI ACCURATAMENTE IL TUO TEMPO (vs comandamento genitoriale “Sbrigati”): Il vecchio adagio che la fretta è cattiva consigliera conserva e conserverà il suo valore. La competenza intorno alla gestione del tempo è importante per non vivere pressati o immortalati dentro una gabbia cronologica che può essere un alleato prezioso se lo utilizziamo per organizzarci, calendarizzare e prescriverci impegni in modo prevedibile ordinato.

_ ACCETTA I TUOI LIMITI (vs comandamento genitoriale “Sii perfetto”): Rinunciare all’idea di aderire a un modello ideale significa smettere di rincorrere l’idea fatua di prendere il posto di qualcuno, di “vestire l’identità di”, omologarsi vivendo nella continua discrepanza fra ciò che si vorrebbe essere e ciò che non si può essere. Volendosi bene interamente anche guardando amichevolmente i propri limiti è un modo per affrancarsi dall’insana attitudine a recidere da se la propria autenticità, a prezzo di non poche sofferenze.

 

Questi 5 punti potrebbero costituire un possibile corollario di buona condotta pedagogica anche e soprattutto per chi si è assunto la responsabilità di guidare alla vita i propri figli. Li propongo con la massima umiltà, motivato esclusivamente dallo spirito di ricerca e di confronto. 

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