Ruolo e importanza della SUPERVISIONE nella formazione e nella pratica professionale.


protagora"SII IL CAMBIAMENTO CHE VUOI VEDERE AVVENIRE NEL MONDO”

 

In un villaggio indiano c'era un uomo saggio che aveva aiutato più di una volta una certa famiglia. Un giorno il padre e la madre andarono da lui con il loro bambino di nove anni e il padre disse "Maestro, nostro figlio è un ragazzo fantastico e lo amiamo moltissimo, ma ha un problema tremendo, una debolezza per i dolciumi che gli sta rovinando i denti e la salute. Abbiamo ragionato con lui, dis...cusso con lui, lo abbiamo supplicato e castigato, ma niente sembra funzionare. Continua a consumare incredibili quantità di dolciumi. Ci puoi aiutare?" Con grande stupore del padre il guru rispose "Andate e tornate tra due settimane." Non si discute con un guru, così la famigliola obbedì. Due settimane dopo tornò dal guru e questi disse "Bene adesso possiamo procedere" "Per favore -domandò il padre- potresti dirci perchè ci hai fatto aspettare due settimane? Non lo hai mai fatto prima." E il guru" Ho avuto bisogno di questo tempo perchè anche io ho da sempre una debolezza per i dolciumi e per essere in grado di aiutare vostro figlio, dovevo prima affrontare e risolvere il problema con me stesso" 

 

Ci sono contenuti teorici legati alla Supervisione (e “la vesto” con la maiuscola per trasmetterne l’importanza.. ) che sono esplicitamente e chiaramente trasmessi durante i percorsi formativi di Counseling.

Ci sono altri aspetti della Supervisione invece, che dal mio punto di vista si apprendono individualmente nella propria interiorità, sperimentandoli nel tempo, cioè “facendo”.

E’ su questi ultimi che mi vorrei soffermare, nell’ambito della mia esperienza personale.

Lo sappiamo (e mi sento di usare un noi corale) che il “fare”, la pratica, la sperimentazione, è per il Counselor davvero fondamentale.

Come diceva Protagora “La pratica senza teoria è cieca,… come cieca è la teoria senza la pratica.”

 

A.s.p.i.c. (Associazione per lo Sviluppo Psicologico dell’Individuo e della Comunità), come immagino anche altre associazioni che si occupano di formazione in questo ambito, dà molta importanza alla Supervisione: una variabile che rappresenta sicuramente un sinonimo di alta qualità professionale ma anche un necessario “obbligo” a cui adempiere per monitorare non solo il proprio lavoro di relazione d’aiuto ma anche il proprio processo di crescita ed evoluzione personale che “deve”esserci in chi si occupa di Counseling e di formazione nella relazione d’aiuto.

Perché non è possibile portare un cliente come anche un allievo laddove non sono andato io.

Personalmente ho questa fantasia…forse perché nella mia esperienza è stato così : un Counselor prima di diventare tale, prima della formazione e della crescita personale che questo percorso presuppone…è un po’ come un calzolaio con le scarpe rotte.

Poi avviene un cambiamento. Poi durante l’iter formativo si avvia un “nuovo” e più autentico contatto con sé e con gli altri.

Si attua la “nuova” relazione. Con i compagni, con il gruppo, con “le autorità”.

Il percorso formativo minimo dei tre anni, (e non sono comprese qui le disparate formazioni di counseling olistico dove in un anno si conclude il tutto) permette al Counselor in formazione di “imparare ad aggiustarsi le scarpe” ogni volta che si rompono; ogni volta che un buchino fa passare acqua, ogni volta che la suola si consuma e ha bisogno di essere rinforzata.

E’ “normale”, quando si usano le scarpe, che queste si consumino.

E’ “normale” occuparsi di sistemare le proprie scarpe quando ne hanno bisogno.

Il Counselor sa essere attento alle “sue scarpe”…a volte lo impara strada facendo.

Tutto il contrario delle storie che si tramandano sul calzolaio con le scarpe rotte.

Concordo con quanto scrive Marco Andreoli quando descrive “l’essere Counselor”…: “…questo tipo di atteggiamento incoraggiante, fiducioso, umano, non può realizzarsi solo ed esclusivamente nelle occasioni di lavoro o formazione nelle quali ci mettiamo il “cappello” da counselor professionista e tiriamo fuori tutto quello che abbiamo studiato e imparato….”

Counselor lo si è, prima di tutto e in toto. Non che la cosa sia semplice, certo.

“Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo” diceva Gandhi e per noi Counselor che ci occupiamo di relazione e di comunicazione non può essere che così.

E la Supervisione, come anche i Gruppi di Crescita sono una base solida per la “sopravvivenza” di una figura professionale come la nostra.

Avete presente la Piramidedei bisogni di Maslow?

Possiamo immaginare che l’essere Counselor presupponga il soddisfacimento di determinati bisogni che permette di essere efficaci ed efficienti a livello professionale nel prendersi cura dei bisogni dell’altro. Mi spiego meglio.

Nello specifico i Counselor “devono” essere in grado di soddisfare i propri bisogni primari a livello professionale per poter poi riuscire a soddisfare quelli secondari, cioè quelli sociali, tra cui quello di prendersi cura degli altri.. (che è e resta un bisogno secondario, sociale e NON DEVEdiventare primario…)

Insomma…come se ci fosse un obbligo per il calzolaio, prima di diventare tale, di avere le scarpe aggiustate e curate!

I bisogni primari, alla base della piramide sono i bisogni biologici quelli necessari per la sopravvivenza: nutrimento, bisogni fisiologici, il dormire.

Cosa rappresentano questi bisogni a livello professionale per un Counselor che pratica?

Il nutrimento lo vedo un po’ come il “prendere da fuori e portare dentro” che potrebbe essere la Supervisione Formativa, o Normativa o Restaurativa (a seconda delle necessità), ma anche la Formazione Permanenteè nutriente nel partecipare a seminari, conferenze, corsi specializzati…etc.

I bisogni fisiologici che sono invece un “prendere da dentro e mettere fuori le scorie e ciò che non serve” li vedo specificatamente come Supervisione Restaurativa ma anche come Gruppi di Crescita Evoluticioè rivolti a soli Counselor.

E infineil dormire: il tempo in cui il nostro corpo-mente-anima sta nell’inattività per riposarsi e recuperare, si traduce dal mio punto di vista con il bisogno di dedicare parte del proprio tempo all’ “inattività della professione” cioè staccare la spina e spostare la propria attenzione dall’attività professionale ad altre attività “rilassanti” (e qui la scelta è dettata dai gusti individuali) che permettono il recupero delle energie personali e professionali spese.

 

Ho conosciuto il valore della Supervisione non solo dalle lezioni teoriche che ne definiscono i confini e le modalità, ma anzi, direi soprattutto, dall’averla sperimentata praticamente e con continuità sin dal primo giorno della mia formazione all'ASPIC di Modena.

Supervisione ricevuta e Supervisione data: potenti strumenti di consapevolezza personale e professionale, meravigliosa occasione di responsabilizzazione.

Il CUS è quell’allenamento formativo costante che accompagna l’allievo alla scoperta e alla conoscenza nonché all’applicazione del colloquio nella relazione d’aiuto, in cui un Counselor si mette a disposizione con accoglienza di un Utente che voglia esplorare una tematica per cui si sente bisognoso di aiuto, sotto lo sguardo attento di un Supervisore che cerca di osservare la relazione nei suoi Punti di Forza e di Fragilità.(e anche qui vesto le maiuscole che danno un valore a questi termini di uso comune)

La Supervisioneè utile. Utilissima.

Soprattutto se “somministrata” con continuità nel tempo (e tre anni servono tutti) e portando sempre l’ attenzione ai Punti di Forza e ai Punti di Fragilità dell’intervento e della relazione a cui si è assistito e non sulla persona.

In sintesi un “buon” Supervisore “dovrebbe” essere e fare per il Counselor ciò che il Counselor “dovrebbe” essere e fare per il suo cliente.

 

Sintetizzando rispetto la mia esperienza, l’importanza di ricevere come allievi la Supervisioneda chi è alla pari nello stesso percorso formativo, ma anche dai docenti, si sostanzia nella possibilità/occasione di:

  • -imparare a stare con i propri Punti di Forza e di Debolezza nel qui ed ora,senza sfociare né nel senso di “onnipotenza narcisistica”...come neanche nella frustrazione dell' “impotenza incapace”;
  • -imparare,nel trattenere le proprie emozioni dentro di sé non rispondendo alla Supervisione ricevuta (infatti la si ascolta in rigoroso silenzio!) , a separare autonomamente e internamente ciò che mi serve da ciò che non mi serve, ciò che mi appartiene e ciò che invece riguarda “l’altro”,rispetto a ciò che mi viene detto durante la Supervisione. Questaè la base per una maggiore responsabilizzazione rispetto alla gestione delle proprie emozioni e delle proprie opinioni che diminuisce e/o sfuma la dipendenza dal giudizio altrui, aspetto fondamentale se si vuole “aiutare l’altro per professione”;
  • -avere uno specchio di ciò che gli altri vedono di me come Punti di Forza e di Fragilità riflettendo sulla dimensione, cosa gli altri vedono di me. A volte, o forse spesso, questa dimensione non coincide con chi sono io(la mia identità) poiché esiste anche una parte che rappresenta cosa gli altri non sanno di me.E’ importante perciò riflettere su questi nostri aspetti e sulle emozioni che ci provocano.

 

SSempre attraverso la mia esperienza, l’importanza per l’allievo di dare la propria Supervisione a compagni alla pari si realizza nella possibilità e occasione di:

  • -imparare a puntare l'attenzione sia su Punti di Forza che sui Punti di Fragilità di una situazione, cercando di osservare la relazione in modo fenomenologico ed “equilibrato” tra i due estremi. Questa capacità-competenza è spendibile poi sia nella vita professionale come strumento di automonitoraggio, come anche nella vita privata, come strumento che permette di migliorare la qualità delle proprie relazioni personali;
  • -imparare a comunicare la propria visione della situazione all'altro sia nei Punti di Forzae quindi quelli piacevoli e probabilmente più facilmente accettabili dall’altro(ma non è detto che sia così!) , che in quelli di Fragilità,quelli che possono attivare il giudice interiore dell’altro e che spesso sono difficilmente accettati;
  • -riflettere sulle “percentuali” di Punti di Forza e di Fragilità che vedo nell’altro, poiché sono utili informazioni su come io osservo il mondo, sul mio sguardo e quindi su di me( ad es: tendo a essere critico o benevolo con l’altro? E con me stesso? Sto con tranquillità davanti ai Punti di Fragilità o il giudice mi perseguita? Mi esalto esageratamente per i Punti di Forza, dimenticando i miei limiti?...)
  • -imparare a costruire il proprio personale e unico approccio alla relazione d’aiuto e il proprio stile professionale, riflettendo sia sulle diversità di modalità di gestione del colloquio che sulle somiglianze/risonanze osservate nel lavoro altrui.

 

Se per essere Counselor l’iter è triennale, per diventare Counselor Supervisori è previsto un iter personale e professionale ancora più intenso e specifico nella formazione prevista da ASPIC Roma... proprio perché un Counselor Supervisore ha una doppia responsabilità, nei confronti del Counselor e del relativo cliente…

 

 

 

 

..e allora…Buona Supervisione a tutti!

Elisabetta Vera Graziani

 

cit. di Marco Andreoli in "Considerazioni e pensieri sulla formazione in counseling" articolo pubblicato su Counseling Italia

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