Stati Uniti dell’Ego. Armonia intrapsichica nella moltitudine dei Sè

Inviato da Nuccio Salis

ego1. Fin dalla nostra nascita terrena, diveniamo protagonisti in prima persona di un percorso di formazione da cui ricaviamo una serie di strutture interne mediante le quali regoliamo il nostro approccio col mondo. Si tratta sostanzialmente di rappresentazioni interne, modellate attivamente secondo la propria personale declinazione, di cui ci serviamo per significare l’esistenza sulla base di tali coordinate interiori. La visione di ciascuna delle parti che ci compongono, essendo per l’appunto una parte, non potrà che essere parziale, imperfetta, direi propriamente distorta. Nel senso che ciascuna parte di noi rende conto anche di una nostra distintiva scala di valori, bisogni e motivazioni, che possono avere diversi “avvocati” all’interno dell’impianto complessivo e dinamico della nostra personalità. Questo per dire che molto facilmente la nostra vita intrapsichica è caratterizzata dal tumulto conflittuale delle nostre singole parti che, riferendosi a codici e registri di significazione diversi fra loro, per natura, origine o manifestazione, possono facilmente confrontarsi e riconoscersi mediante le discrepanze.

Questo, di per se, non significa a mio umilissimo avviso affermare che siamo inevitabilmente egodistonici; quanto invece che ci troviamo di fronte alla possibilità di gestire e mettere in comunicazione linguaggi anche molto distanti fra di loro. È quello che in buona sostanza ci tocca fare, per introdurre un esempio semplice, quando ci scopriamo avulsi da un sentimento che vorremmo esperire mediante un comportamento che è contestualmente o legalmente censurato. Allora una parte di noi interviene per contenere e trattenere le spinte sollecitatorie di quelle componenti che ci inducono a compiere o scegliere azioni che possono rivelarsi non costruttive e non appropriate. È la classica frattura tra Super Io ed Es, secondo il linguaggio della topica freudiana.

Insomma, nello sviluppare la conoscenza e le ricerche soprattutto secondo i paradigmi della psicologia del Sé, l’immagine che emerge dell’essere umano è quella di una creatura che dal punto di vista psichico è frammentata, e che tale molteplicità degli elementi strutturanti costituisce l’aspetto più controverso del soggetto umano, per quanto riguarda il susseguirsi del suo rapporto con se stesso e con l’ambiente che lo circonda.

 

2. In vero, la complessità dell’essere umano è un’arma a doppio taglio. Ciascuno di noi rappresenta potenzialmente una Torre di Babele. Siamo pieni di Sé rinnegati, fittizi, formali, che si aggiungono al corollario dei Sé autentici, ciascuno associato ad ogni nostra area caratterizzante dello sviluppo. Dobbiamo fare una grande fatica a dirigere questa orchestra in modo tale che si oda un’aria gradevole ed intonata. Lo sguardo coraggioso che ispeziona la profondità dell’animale uomo, ha evinto nel tempo la necessità di aggiornare o in alcuni casi dissolvere teorie monolitiche sulla natura dell’uomo. L’essere umano come costruttore di significati sociali e culturali, perennemente in crescita, sfuggente ad ogni spiegazione causale meccanicistica, intriso di mistero e di potenzialità ancora sconosciute, obbliga tutti noi a non accontentarci di vedere la sua moltitudine come qualcosa o di scontato da una parte o di addirittura di predisposizione alla patologia dall’altra. E già, perché personalmente non dimentico che esistono “occhiali” le cui lenti danno una lettura tendenzialmente clinica della natura dell’essere umano. Il polimorfismo e la molteplicità degli aspetti personologici hanno fin da sempre fatto sospettare che l’uomo conservasse tensioni disgregative, che fosse per natura teso alla scissione, alla frammentazione di se e delle sue parti, e che fosse sufficiente un giusto innesco per dirigerlo verso la dispersione di se, rendendolo autodistruttivo o eterodistruttivo, comunque pieno di inclinazioni alienanti e disturbanti per se stesso e per la società.
La diversità non piace all’esterno, figuriamoci se potevamo accettarla ed averne cura una volta riconosciuta all’interno di noi. Sapere che anche le categorie che non ci piacciono, che ci provocano un motto di rigurgito e di sospetto protettivo, possano co-abitare dentro di noi con una loro parte ci costringe a ringoiare i nemici che prima proiettavamo all’esterno.
La nostra selva di Sé, invece, può essere una straordinaria ricchezza. Oppure dobbiamo perseverare nel pensare che la compresenza di tutte le singole parti che ci caratterizzano siano soltanto un errore o una giustapposizione da interpretare alla luce (o meglio al buio) delle categorie cliniche e diagnostiche secondo le quali, spesso, l’essere umano stesso è una malattia?
Personalissimamente mi sono costruito l’idea che la folla dei Sé sia costituita da passeggeri di una nave da governare con estrema sapienza. Allora il problema, visto così, non è il fatto in se che noi siamo un contenitore in cui risiede la miscela polifonica dei Sé; perché la riflessione a questo punto si sposta sulla domanda “Come possiamo fare a gestire questa immensa risorsa?”. Ovviamente, avendo la domanda, non ho la risposta. Potrei azzardare in ginocchio che se già ci impegniamo ad accogliere appunto come risorsa la dinamicità del nostro psichismo, potremo attivarci addirittura per prendercene cura, e magari smetterla di giudicarci sempre facendo spesso ricorso al vocabolo “contraddizione”. Quante volte si sente pronunciare questa parola, associandola molto spesso ad accettabili punti di fragilità o debolezza, mostrando quindi di essere perfetti agonisti dello sport dell’autofustigazione, o anche in alcuni casi Vittime in cerca di “giocatori”, come si direbbe in Analisi Transazionale. Preciso che parlo di “contraddizioni” umanamente accettabili, non di incongruenze del tipo “di giorno faccio il poliziotto e di notte vado a scassinare le gioiellerie”. Sono i punti di dissonanza, infatti, a illustrare la natura di un problema o di una difficoltà in seno a una persona, e al tempo stesso credo sia utile distinguere per livelli e qualità espressive differenti, ed inoltre ritenere che sia impensabile pretendere che l’essere umano funzioni come un blocco monolitico, semplice, lineare, congruente in ogni occasione. L’essere umano non è semplice come un interruttore, che se non è acceso è spento e viceversa. Egli deve conquistare la sua linearità dentro un orizzonte in cui la coerenza non è data dalla semplificazione o dalla messa in bando di alcuni suoi nuclei caratterizzanti, ma da una maturità psichica intrisa di consapevolezza e capacità di discernimento, soprattutto nel senso autoconoscitivo del termine, includendovi anche la sua responsabilità etica. L’uomo ha dunque questo “dannato” privilegio: può capire la sua natura e la può guidare, gestire, senza averne per forza paura o provare di fronte alla stessa impotenza o incapacità di comprendere, prendere decisioni ed agire.

 

3. Se il compito di ciascun essere umano è quello di evolvere, allora dobbiamo riprendere le redini della nostra vita guardando dall’alto tutti gli orchestrali che nel loro variopinto aggregarsi formano il mosaico della nostra personalità. Sub-personalità, Stati dell’Io-Sé, strutture e topiche varie e di differenti scuole ed orientamenti costituiscono un contenuto che è più della somma delle parti, e forse l’errore nasce proprio nel trascurare o ignorare questo aspetto, finendo inevitabilmente per confondere la parte con il Tutto. Mentre nessuno di noi è identificabile o sovrapponibile a ricalco su una singola parte di se.
Auspico allora la nascita degli Stati Uniti dell’Ego (USE), un Paese in cui la diversità si armonizza avvicendando le risorse e le specificità di ciascun Ego autonomo, verso la realizzazione e la conservazione dell’obiettivo comune della promozione della salute psichica. Poiché all’interno di ciascuno vigano la pace e il benessere.
 

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