Breve recensione al testo di SEMERARI ANTONIO, Storia, teorie e tecniche della psicoterapia cognitiva


 

1^ parte

P R E M E S S A,  Il testo di Semerari Antonio, Storia, teorie e tecniche della psicoterapia cognitiva, Bari, 2006 si compone di 259 pagine (a cui ne vanno aggiunte altre venti, tra indici e riferimenti bibliografici) fondamentali oltre che  per stabilire alcune nette differenziazioni tra il terapeuta e il counselor, per far risaltare in modo inequivocabile gli elementi che accomunano l’approccio cognitivo-comportamentale alla relazione d’aiuto e in particolare al modello di counseling umanistico integrato.

 

Notizie sull’autore:

Antonio Semerari(1950), ha studiato medicina e psichiatria all’Università “La Sapienza” di Roma; subito dopo la laurea ha cominciato ad interessarsi alla psicologia e alla psicoterapia cognitiva risultando tra coloro che hanno introdotto il cognitivismo clinico nel nostro paese.
I suoi primi lavori di ricerca risalgono all’inizio degli anni ’80. Dal  1989 ha cominciato ad interessarsi dello studio della relazione terapeutica e del confronto tra psicoanalisi e psicoterapia cognitiva. Le riflessioni teoriche e cliniche di quel periodo portarono alla pubblicazione nel 1991 de “I processi cognitivi nella relazione terapeutica
”.

Due recensioni sull’opera:

               La psicoterapia cognitiva scaturisce da un complesso apparato teorico che affonda le sue radici nella psicologia scientifica e, più in generale, nelle scienze cognitive. Alla luce di questo dato, la prima parte dell'opera traccia una storia dei rapporti tra le scienze cognitive e le teorie cliniche, che costituisce un'ideale introduzione ai vari modelli teorici che oggi animano il cognitivismo clinico. Il resto dell'opera si focalizza, invece, sui modi in cui queste diverse posizioni teoriche si traducono nella tecnica dell'intervento terapeutico. (http://www.libreriauniversitaria.it)

 

               Un’introduzione organica e completa alla psicoterapia cognitiva. I più recenti modelli cognitivi della valutazione e dell'intervento psicoterapico sono fatti oggetto di un’accurata trattazione, che si caratterizza per il frequente ricorso ad esempi concreti, tratti da trascrizioni integrali di sedute. Questa vivida presentazione della dimensione pratico-operativa della psicoterapia cognitiva si pone sullo sfondo di un'originale ricostruzione storica dell'influenza delle scienze della mente sulle teorie del cognitivismo clinico, da quelle dei pionieri Beck ed Ellis, fino al più recente approccio 'metacognitivo', di cui lo stesso autore è uno dei più autorevoli esponenti. (http://www.sinapsy.it)

IL COGNITIVISMO CLINICO: cenni storici

                   Semerari enuncia le due strategie in base alle quali intende ricostruire la storia della scienza: la prima di tipo soggettivo e biografico che assume il punto di vista degli scienziati stessi e la seconda, per così dire esterna, che osserva le diverse proposte e il dibattito scientifico partendo dal “contesto influente”, per il quale anche teorie rivali appaiono collegate e parimenti significative. Per una identificazione del cognitivismo clinico, occorrerà dunque soffermarsi sugli autori che ne hanno costituito i presupposti teorici e sul contesto culturale da cui esso ha tratto linfa vitale. I fondatori riconosciuti dell’attuale cognitivismo clinico sono Aaron Beck e Albert Ellis 2. A Beck spetta la definizione di psicoterapia cognitiva e l’elaborazione della Terapia Cognitiva Standard, TCS.Il rapporto della psicoterapia cognitiva con ascendenti comportamentali e psicoanalisti è complesso: Ellis e Beck che avevano una formazione psicoanalitica  si trovarono a vivere, negli anni Sessanta, la crisi della psicoanalisi negli Stati Uniti [legata al rapporto problematico che veniva percepito da giovani e brillanti analisti americani tra teoria clinica e metapsicologia] e la loro, almeno in parte, fu una reazione alla crisi della teoria clinica psicoanalitica.

Il nodo concettuale da cui origina l’approccio cognitivo è il rapporto tra cognizione ed emozioni, nato e influenzato in modo determinante dal contesto generale: “un contesto influente” lo definisce S. [pag. 23], rappresentato dalla nascita e dallo sviluppo della psicologia e della scienza cognitiva. Si tratta di una vera e propria rivoluzione cognitiva, del modo di percepire il mondo in  termini di sistemi conoscitivi e di elaborazione di informazioni, diffusosi nella seconda metà del Novecento: la scienza cognitiva è in realtà un, cosiddetto, esagono cognitivo, sei discipline specifiche: intelligenza artificiale, psicologia cognitiva, neuroscienze, linguistica, antropologia e filosofia. Sono discipline diverse e tuttavia concorrono alla formazione di una scienza unitaria, legata da rapporti interdisciplinari, da una comune metodologia, quella della validazione delle teorie attraverso la simulazione dei modelli, e da un comune oggetto di studio (strutture e processi con cui si organizzano le conoscenze).

 

Afferma Semerari, “può sembrare sorprendente, ma uno dei maggiori risultati della rivoluzione cognitiva è stato quello di ottenere un progresso decisivo nel chiarimento del ruolo delle emozioni nei processi mentali e nelle relazioni interpersonali”  [pag. 48], proprio nella volontà dei protagonisti più autorevoli di stabilire se esiste un primato dei processi cognitivi sull’esperienza emotiva, se esiste indipendenza, o se il primato è delle emozioni rispetto alla cognizione. La concezione della scienza a cui il cognitivismo ha fatto riferimento è quella di una scienza basata sul primato della teoria e sul metodo per congetture e confutazioni (Popper, 1934), ma gli orientamenti dei ricercatori si sono differenziati intorno alla possibilità di formulare una teoria unificata della conoscenza: è possibile descrivere in astratto, le operazioni cognitive che un individuo comune compie per conoscere il proprio mondo? Qual è, insomma, il rapporto tra astrazione e processi cognitivi reali? Certamente esiste un filo di continuità tra processi biologici e processi cognitivi (Piaget, 1967) e in questo ambito è determinante la lezione di George Kelly 3, 1955, e la metafora dell’uomo come scienziato, base delle prime teorie costruttiviste della personalità e della teoria clinica. L’individuo di Kelly è uno scienziato (di tipo popperiano) che cerca, sulla base del suo sistema di costrutti, di prevedere e controllare le proprie previsioni in base all’andamento delle validazioni, modificando ed elaborando in questo modo il proprio sistema conoscitivo.

Nel 1980 Mahoney4 fa sua la lezione di Kelly, descrivendo i cambiamenti che nel corso di una psicoterapia intervengono nella visione di sé e del mondo del paziente, utilizzando il costruttivismo5 per una critica in sei punti alla psicoterapia cognitivo-comportamentale (non direttamente a Beck ed Ellis), per l’eccessiva e unilaterale enfasi sulla razionalità: “i pensieri automatici e le convinzioni, così come vengono descritti nell’approccio cognitivo-comportamentale, hanno essenzialmente la forma di pensiero espresso in parole. In questo modo si rischia di dare per implicito un isomorfismo pensiero-linguaggio e di trascurare altre importanti modalità di espressione dell’esperienza.” [in Semerari, cit. pag.57]

Nel 1983, il primo più ambizioso tentativo di realizzazione del programma delineato da Mahoney fu compiuto da autori della scuola italiana, in particolare Guidano e Liotti 6 che per diversi anni hanno costituito un punti di riferimento obbligato nel dibattito all’interno del cognitivismo clinico. Nell’accezione di Guidano e Liotti il sé è fondamentalmente un processo dinamico emergente dal continuo e coerente ordinamento delle strutture di significato e i problemi della formazione e dello sviluppo delle varie strutture trovano largo sostegno nella teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1969): è un ponte tra concezioni psicoanalitiche e cognitive, che in seguito ampiamente verrà utilizzato.

Nonostante siano state mosse numerose critiche alla TCS, essa resta, a detta di osservatori e noti esponenti di quest’approccio terapeutico, come David Clark (1995) un’equilibrata sintesi tra aspetti cognitivi e realtà comportamentale: [Clark]prende in considerazione l’osservazione secondo cui la TCS avrebbe una visione ristretta dei processi emotivi. Egli respinge tale critica, sia sul piano teorico, sia sul piano della prassi terapeutica e nota come, da sempre, l’approccio standard si sia concentrato sulle esperienze emotive significative del paziente e si sia occupata dei processi cognitivi connessi con tali esperienze. Ciò che non può essere integrato nei princìpi dell’approccio standard è l’idea di un processo emotivo indipendente dalle componenti cognitive. “ [ pag. 99]

 

seguirà 2^ e ultima parte.

 

Cordialissimamente

Giancarla Mandozzi

 

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