I valori del counselor. Agire secondo gli elementi di un'etica condivisa

Inviato da Nuccio Salis

devil and_angelLa pratica del counseling non è per sua fortuna esente da confronti dialettici interni. Vivaci dibattiti si animano in merito agli ambiti su cui si intende applicare o alle modalità tramite le quali si propone, e ancora sull’uso delle strategie che intende esercitare, nonché su varie questioni logistiche, tecniche e concettuali. L’articolata ramificazione di orientamenti, indirizzi, aree di intervento, se da una parte costituisce un aspetto di fragile vulnerabilità che espone al rischio di una torre di Babele dalle labili mura, prossime all’implosione, d’altra parte rende la ricerca sempre aperta, dinamica e avvincente, proteggendola da una degenerazione fideistica dentro cui sono rimaste intrappolate certe correnti della psicologia: (psicanalisi freudiana, comportamentismo e psicologia clinica).

L’impresa consiste nell’evitare dispersive frammentazioni e procedere nell’individuare una sicura impalcatura di base che assicuri una coesione epistemologica comune a tutti gli indirizzi, e che garantisca una fonte certa da cui attingere imprescindibili e chiari orientamenti da condividere. Un elemento base che non può esulare da questa ricerca di un orizzonte comune di significati, la si individua nella complessa tematica dell’etica. Le dimensioni del “sapere” e del “saper fare” non sono sufficienti ad espletare un’azione che possa ritenersi efficace, se questa non si coniuga con la questione dell’etica. Dobbiamo disporre ed al tempo stesso attenerci ad un codice collettivo che gestisca l’aspetto della pratica professionale, poichè questo aiuta la figura del counselor ad essere riconosciuto come profilo legittimato ad esercitare, in quanto propenso a raggiungere l’ufficialità che gli spetta, anche qui in Italia.

La matrice etica della professione consolida una cornice di autorevolezza e consapevolezza del proprio ruolo. Tale aspetto, dunque, deve essere continuamente messo in evidenza, con tutti i suoi connotati valoriali e le sue conseguenti implicazioni pratiche. Tutto il processo dell’agire professionale, quindi, va ricondotto ed ispirato a una serie di indicazioni normative che devono costituire la struttura chiave a cui il professionista deve volgersi per avere piena consapevolezza della direzione a cui deve tendere. Un codice deontologico comune non sottrae la possibilità di agire seguendo la propria vocazione o il proprio stile personale, regola piuttosto la condotta professionale affinchè aderisca a principi congruenti col tipo di proposta esperienziale che avanziamo all’utenza di cui ci si prende carico.

Ciò che conta, dunque, è avere riferimenti normativi e valoriali stabili, in linea con le coordinate sociali e culturali soggette comunque a trasformazioni. Aver stabilito ed inquadrato le aree di riferimento per agire partendo da una matrice etica, è stato l’impegno che ha condotto a descrivere la natura del comportamento del counselor durante la sua attività, in termini anche di diritti e doveri, sia propri che delle persone di cui si assume cura.

Elencherò secondo una elaborazione personale gli aspetti messi in luce per definire l’abilità del counselor in termini etici:

A). Competenza: Il counselor ha il dovere di garantire qualità della prestazione e del servizio svolto; pertanto avrà cura di formarsi, aggiornarsi, seguire programmi di training e supervisione volti al miglioramento della propria attività. Egli deve inoltre agire esclusivamente all’interno della propria area di pertinenza, avendo cura di riconoscere i limiti della sua azione, curando l’aspetto dell’eventuale invio ad altri professionisti, in merito a casi non trattabili secondo le strategie proposte dal counseling.

B). Consenso informato: Chi si rivolge al counselor ha il diritto di sapere quali sono le finalità e le caratteristiche professionali della figura di aiuto a cui si è fatto appello. Dunque, il counselor deve fornire ai suoi clienti tutte le informazioni su propositi, obiettivi, tecniche, procedure, limitazioni, potenziali rischi e benefici del servizio di cui si desidera usufruire, ed altre eventuali informazioni aggiuntive se ritenute pertinenti. È prudente e cautelativo per entrambi i soggetti coinvolti, sottoscrivere tali aspetti nella forma di un contratto che impegni alla condivisione di diritti e responsabilità reciproche.

C). Confidenzialità: I fruitori di un servizio di counseling hanno diritto alla riservatezza delle informazioni rivelate. Tutelare i clienti mediante il segreto professionale rappresenta non solo un aspetto etico ma un modo per mostrare rispetto e strutturare un clima di fiducia ed apertura. Vi sono tuttavia eccezioni emergenziali che, seppur nella loro gravità, non cessano di agitare dibattiti controversi; ad esempio quando vi sono in ballo casi di persone che rivelano l’intenzione di voler commettere azioni pericolose a danno di persone o affermare di voler violare la legge.

D). Potere: Il professionista dell’aiuto deve avere la capacità di ammettere e mai sottovalutare che la relazione di cura è di natura asimmetrica. Tale complementarietà è sbilanciata a favore dell’ helper, il quale esercita, anche se non lo vuole, un ruolo di influenza e di controllo sul suo interlocutore. È di estrema delicatezza prendersi cura di questo aspetto affinchè si gestisca il dislivello di potere come forma di valido sostegno non intrusivo, direttivo o forzativo. Situazione da cui, fra l’altro, risulterebbe perdente anche il counselor.

E). Giustizia sociale: L’ambito di intervento del counseling, per sua fondata caratteristica, può esporre di frequente lo stesso professionista a stabilire relazioni strutturate che riguardano eventi legati a vicende di ingiustizia sociale. Persone con problemi di marginalità e categorie socialmente deboli quali pensionati sociali, precari, disoccupati, e vari soggetti collettivi con status a basso potere contrattuale e decisionale, possono rappresentare le categorie di riferimento con cui si può entrare in contatto. Diventa quindi d’obbligo considerare eventuali retaggi di subculture che producono particolari linguaggi ed espressioni proprie, e se richiesto si può aiutare nel senso di elevare la possibilità di far accedere a servizi culturali e ricreativi.

F). Diversità e multiculturalismo: Il servizio erogato deve fornire prestazioni professionali che non prevedano discriminazioni di alcun genere. L’età, il sesso di genere e l’orientamento sessuale, l’etnia, la religione, l’aspetto o la condizione fisica e lo status socio-economico non devono costituire fattori di preferenza di trattamento dei clienti. Non solo, ma secondo un’ottica pienamente matura dal punto di vista etico, il professionista è ritenuto a considerare e se necessario verificare, l’impatto che può esercitare la differenza relativa ai suoi canoni identitari sull’altro: (es: counselor occidentale, bianco, cristiano, eterosessuale e cliente africano, o cinese, di religione islamica ecc.).

 

Tirando le conclusioni, il counselor è impegnato principalmente all’interno di un contesto dinamico, che lo porta a confrontarsi con la complessità della realtà sociale, dentro una trama di rapporti con varie figure simili o colleghi anche se di differente formazione, con rappresentanti di istituzioni, committenti che ne hanno richiesto e mobilitato l’intervento, soggetti dagli eterogenei livelli di istruzione ed estrazione sociale. Tale ordine di discorsi non può che richiedere al counselor la formazione di una competenza etica in divenire, altamente flessibile, plastica e adattiva, che volge al faro irrinunciabile della tutela della dignità, propria ed altrui. È questo il valore che rappresenta con tutta certezza il porto sicuro in cui attraccare, il nucleo di una valenza etica della professione, e che si dovrebbe riaffermare e dimostrare soprattutto nell’esercizio della propria funzione.

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