I Prigioni di Michelangelo - Parte II

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prigioni michelangelo_2Nel colloquio successivo le mostro le foto delle prigioni di Michelangelo scaricate da Internet. Il suo sguardo si accende, diventa curioso. Empaticamente percepisco un movimento interiore che una postura più aperta mi conferma. Le chiedo che effetto le fanno. Passano almeno 5 minuti prima che risponda. In quei 5 minuti osserva le foto alternando lo sguardo su di me come a chiedermi il motivo di quella domanda. Le sue mani non stanno ferme, un'improvvisa agitazione sembra coglierla. Poi all'improvviso sembra calmarsi e risponde. Una risposta strana: "Mi sembra che manchi qualcosa". Alla mia domanda su cosa manca risponde con un "non lo so". Non insisto e mi metto ad osservare le foto del cane che mi ha portato. Si apre, diviene più loquace e anche il suo volto cambia espressione. Durante il colloquio scopro che legge molto. Essenzialmente romanzi. Le faccio raccontare l'ultimo e invece decide di raccontarmene un altro che si intitola: Il Cavaliere nell'Armatura Arrugginita.

E' la storia, racconta, di un cavaliere alla ricerca di se stesso pur essendo imprigionato nell'armatura. Inutile dire che il titolo e la trama mi colpiscono e soprattutto mi stupisce l'analogia con le prigioni di Michelangelo. "Qual è la tua armatura?" domando. Comincia a parlare di se, del suo sentirsi inadeguata, di non riuscire a combinare nulla nella vita, di aver paura del futuro, di non aver coraggio, di non aver nessuno che le vuol bene. Le connoto il coraggio di confessare le sue paure ed il suo precedente rifiuto del farmaco, atto coraggioso e di autonomia. Gli ideali dunque ci sono se pur mascherati dalle paure. Mi colpisce che non parli mai di alimentazione, di peso, di dieta. Una strana anoressica o forse la considero strana perché anche in me c'è un residuo di tendenza alla stereotipia diagnostica. Credo che abbia delle grandi possibilità e che le serva solo uno stimolo per credere nel futuro pur sentendosi in quel momento "incarcerata". Ha bisogno di qualcuno che le creda e non che la consideri oggetto di cura. Vista la sua passione per la lettura le presto un libro di Joseph Roth, "La leggenda del santo bevitore". E' un testo breve che ho spesso utilizzato nel counseling. In un certo sen-so è la storia di chi assumendosi un impegno, alla fine pur tra difficoltà, disperazione e tentazioni, riesce a portarlo a termine, salvando la propria dignità. Il gesto di prestarle un libro la colpisce e forse lo interpreta come un atto di fiducia nei suoi confronti. Io lo interpreto come un riconoscimento della persona e non dell'anoressica. Il terzo colloquio è imperniato nella discussione del libro. Le è piaciuto molto e ne ha comprato una copia per sé. "Sono contenta che alla fine il protagonista ce la fa". La scultura prende forma, sembra pian piano liberarsi dalla pietra. Ma a liberarsi non è il corpo ma la speranza, il suo spirito, i suoi valori, le sue risorse. Empaticamente percepisco una maggior fiducia e anche il suo eloquio è più deciso. Sembra avere una maggior stima di sé. Lo sguardo è più vivo e mobile. Ha ripreso a studiare qualche ora la settimana. La capacità di concentrazione è leggermente migliorata. Continuo a non visitarla. Non mi pare necessario. Mi immagino i suoi livelli di dopamina che aumentano...

Lindt la settimana dopo farà una passeggiatina. Mi descrive quanto il suo cane sia stato delicato con lei. Nessun strattone ed ogni tanto si voltava a guardarla come a rassicurarla. Deduco che a volte un cane può essere più empatico di un medico...

Il suo miglioramento coincide con una crisi della madre che le appare depressa. Decide di non occuparsene, non vuole esserne coinvolta emotivamente e pensa che questo sia un atto di amore verso la madre. Non vuole ripercorrere a ritroso ciò che la madre ha fatto con lei. Questa riflessione è lo specchio della sua autonomia, della propria capacità di agire e dominare, non più il corpo, ma la realtà che la circonda. Un dominio però, non a sorreggere un narcisismo, ma rivolto al bene per se stessa. La pietra è stata la sua identità, un corpo che doveva smagrire per rinchiudere il proprio spirito. Il mio obiettivo è stato quello d'indurla ad un'opera di scultura. Ha liberato la propria dignità di persona che altri avevano contribuito ad affossare oggettivandola.

In quattro mesi recupera 8 Kg ed una vita sociale adeguata. Il suo sguardo è brillante ed assume sulla sedia posture più femminili. Dopo 7 mesi il peso è aumentato a 52 kg. Il ciclo mestruale riapparirà dopo un anno. Da il suo primo esame all'università, con esito oltre le sue aspettative. Il blocco di pietra è alle sue spalle. L'unica vera minaccia avrei potuto essere io se l'avessi incarcerata in una diagnosi considerandola puro oggetto di cura. Mi chiedo ancora cosa fosse quel "qualcosa che manca" mentre, osservava le foto dei prigioni. Credo cor-rispondesse al desiderio di staccarsi dall'ideale anoressico vissuto alla fine in modo distonico rispetto ai propri valori e probabilmente ciò che mancava era la consapevolezza di averne la possibilità. Qualunque possa essere l'interpretazione ciò che ritengo abbia dato il via alle sue motivazioni è l'essere stata accettata ed ascoltata come persona con le proprie debolezze, aspirazioni e risorse. Da persona e non da oggetto ha accettato su di sé la fatica di elaborare la propria sofferenza, di ritrovare dentro di sé fiducia e speranza. Acquisito lo scalpello finiva il lavoro di Michelangelo liberandosi e aprendosi al mondo. L'opera d'arte culminava in una nuova scultura, unica ed irripetibile, espressiva e sorridente : Stefania.

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