L’incontro con i Maestri 1


paul_rebillotFaccio il mestiere del counselor da ormai dieci anni e, da sempre, ho avuto l’idea che guardare operare i grandi Maestri fosse un modo per apprendere il mestiere dell’ascolto dell’altro a tutti i diversi livelli dell’esperienza, pur non potendo le capacità di ascolto esaurirsi nel semplice osservare altri “modelli” all’opera. Ho sempre cercato, da quando 13 anni fa iniziai questo percorso formativo per diventare Counselor, video con sedute di Carl Rogers, Fritz Perls, Albert Ellis ed altri ed in questo, devo dire che Youtube mi ha dato una grossa mano rendendo accessibili filmati a volte introvabili. Recentemente ho poi frequentato un corso di Videomodelling organizzato dall’ASPIC di Roma nel quale si viene praticamente “bombardati” di sedute effettuate da professionisti dalla formazione più variegata e integrata. Non credo importi molto per noi counselor il fatto che molte di queste sedute siano fatte da psicoterapeuti poiché il rischio di confusione non si pone se alla base ho svolto una formazione che mi ha chiarito con precisione e attenzione i confini tra le professioni.

Allo stesso tempo osservare uno psicoterapeuta all’opera insegna a me counselor molto sulle differenze ed anche sulla disponibilità e accoglienza generale verso l’altro. Proprio per questo motivo fin da allievo del Master in counseling mi sono appassionato ai libri e al pensiero di certi personaggi che consideravo particolarmente affascinanti o illuminanti e mi sono riproposto fin da subito di provare ad incontrarne qualcuno per lavorarci insieme. Questo è il motivo che mi ha spinto verso l’idea di contattarli per capire se ci fosse margine per una loro venuta a Genova (dove opero io) e per l’organizzazione di incontri, workshop, convegni nei quali poter osservarli da vicino…

Detto-fatto! L’idea ha preso corpo la prima volta nel 2003 quando mi sono ritrovato a cena con alcuni colleghi Counselor durante un corso di formazione avanzata organizzato dall’allora ASPIC Genova. Una partecipante al corso, casualmente seduta vicino a me, ci raccontò di alcuni corsi che aveva fatto con un terapeuta Gestaltico di San Francisco che veniva tutti gli anni in Europa a presentare i suoi percorsi di formazione. Era la prima volta che sentivo parlare di Paul Rebillot anche se ricordavo di avere letto il suo nome da qualche parte. Affascinato dai racconti di Patrizia volli saperne di più su questo tizio e già il giorno dopo ero risalito alla fonte della mia tenue conoscenza: avevo letto il suo nome nel libro: “La Gestalt” di Serge Ginger, il quale lo citava come uno degli esponenti più creativi della Gestalt targata West Coast. Venni a sapere che Paul Rebillot aveva creato un suo metodo assolutamente originale e unico chiamato “Direct Impact Creativity” cioè Creatività dall’Impatto Diretto, un nome una garanzia… Cercai freneticamente un suo indirizzo per proporgli la “deviazione” italiana al suo “tour” europeo e in pochi scambi di e-mail il gioco era fatto: a ottobre di quell’anno Paul avrebbe condotto un suo workshop per un gruppo organizzato da me in una villa a Menaggio, sul lago di Como.

I corsi di Paul erano vere e proprie maratone: Paul disdegnava corsi di breve durata poiché sosteneva che per avere poi una ricaduta sulla vita di tutti i giorni era necessario “staccare” dal mondo reale con una full-immersion di almeno una settimana-dieci giorni. In quell’anno organizzammo dunque “Il viaggio dell’amore”, un workshop sull’integrazione delle parti maschili e femminili presenti in ognuno di noi. Per me fu un colpo di fulmine professionale: mi innamorai perdutamente del metodo-Rebillot, della sua delicatezza combinata con una incisività mai vista, della sua cultura generale fatta di teoria, aneddoti di vita personale, storie di persone e presenza scenica. Dopo “Il viaggio dell’amore” l’Italia tornò ad essere tappa fissa dei viaggi Europei di Paul e a quel workshop seguirono (uno all’anno): “La mia Ombra: magia di un incontro”, “Come condurre un gruppo”, “Cerchi di famiglia”, “Il viaggio dell’eroe” e “Danzando con gli Dei”. Il 2007/2008 fu l’ultimo anno in cui Paul venne in Europa.

Nel 2009 la sua malattia (enfisema polmonare) sferrò un duro attacco e in quell’estate invece della programmata formazione avanzata passai i miei dieci giorni a San Francisco standogli accanto in ospedale. Sapevo che non lo avrei più rivisto ed infatti così è stato. Paul è morto nel febbraio 2010 lasciando una pesante eredità a noi che abbiamo conosciuto un metodo assolutamente unico che io ancora oggi porto, seppur in piccola parte, in tutti i miei gruppi e/o seminari. Per concludere mi piacerebbe lasciarvi alcuni passaggi dell’ultima “lezione” al mondo scritta da Paul un mese prima di morire:

“Tutto quello che ho scoperto, l’ho scoperto da solo.Certamente sono passato dalla University of Detroit, dal San Francisco State College, dalla Stanford University; tutti questi posti hanno contribuito a formare le basi del mo lavoro, ma, di fatto, le mie reali, autentiche fondamenta erano i miei piedi – i miei piedi e il mio naso. A volte mi ha spaventato, a volte mi ha rattristato non avere il punto d’appoggio che desideravo; a volte sono stato respinto per questa ragione e a volte mi sono meritato di essere respinto perché le mie fondamenta non erano abbastanza solide. E lo accetto. Sono una persona con molte sfaccettature: alcune buone e alcune meno buone. Così ho accettato alcuni di questi rifiuti. Ma c’è anche un altro livello da prendere in considerazione.

Mi sono reso conto che se esco nel mondo per imparare, per insegnare, per occupare un certo posto, ho bisogno di avere un gruppo di persone con me, persone con le quali posso essere d’accordo, persone che possono o meno essere d’accordo con me, ma persone che mi conoscono, che dicano: ”Io conosco Paul Rebillot, lui fa questo,questo e questo”, così che io possa trovare la mia strada, così che io possa essere onesto con la gente. E io ho voluto essere onesto con la gente: non volevo presentarmi con un cartellino o un certificato, come, diciamo, un fiorista che mostra la foto di un fiore e dice:”Questo sono io”, e questo è lui, lo rappresenta, lo manifesta, lo presenta al mondo; fa come si faceva ai vecchi tempi con i blasoni quando si diceva:”Questo è il mio blasone e questo è ciò che sono. Questo rappresenta mio padre e mia madre che si sono uniti per crearmi e io sono una creazione di valore. Dopo tutto io sono qui, no? Questo blasone sono io.”

Quando stavo iniziando ad esplorare tutto questo, ciò che ho trovato più stimolante è stato il fatto che io sono niente. Se osservo la parola niente: nothing, no thing, nessuna cosa: non c’è nessuna cosa che io sia. Ciò significa che io sono, che posso diventare qualsiasi cosa! Io sono tutte le cose, tutte le cose sono possibili perché io non sono alcuna cosa. Quindi io sono il niente, e il prolungamento del niente, di nessuna cosa, è il vuoto, ed essendo il vuoto io ho il diritto di essere tutte le cose. Wow! Che scoperta stupefacente! Tutto ciò che ho costruito partendo da me, è stato possibile perché io sono niente. Che fascino! Che opportunità! Che opportunità poter costruire un intero universo partendo dal niente. Questo è ciò che l’astronauta mostra al mondo dopo essersi avventurato nell’universo: tutte le cose e no thing-nessuna cosa (niente). (…) Quando ho cominciato ad insegnare in Europa, ero orgoglioso di insegnare alla gente ad occuparsi del niente! Stavano imparando come fare il niente e questo era un buon modo di imparare a farlo. Si faceva mettendo insieme un paio di “niente” in modo da tirarne fuori qualche cosa. Come mettere insieme un paio di “niente”: questo è ciò che un astronauta insegna al suo rientro nel mondo e mostra agli altri astronauti come mettere insieme dei niente per mostrare al mondo che può essere fatto; a tutti quelli che tornano a casa da persone meravigliose, persone con un cuore e un’anima.

Io stavo tornando a casa dalla mia vita, tornavo a casa dal mio amore per mostrare a coloro che amo come fare il niente e provare loro che farlo è una cosa preziosa! E dunque, quando stavo decidendo di che cosa avrebbe trattato il discorso che avrei fatto oggi, mi sono reso conto che sarebbe stato, molto semplicemente e molto sinceramente, sul niente, perché il niente è tutto quello di cui è fatto il mondo”. (Paul Rebillot).

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